martedì 23 aprile 2013

MICRO CREDITO PER MACRO RIVOLUZIONI

 Sogni
Aprire un piccolo ristoro per sostenere meglio la propria famiglia. Credere nel proprio progetto per uscire da un momento difficile. Trasformare una passione in professione. Un cumulo di sogni può diventare realtà.

Sembra poesia, ma è finanza. O meglio, cambiamento, rivoluzione, per la vita di una famiglia.


In banca, un piccolo imprenditore può ottenere un prestito in denaro per realizzare i suoi progetti. Ma non sempre ciò è possibile, per coloro che vivono in un paese povero. Non sempre è facile per un povero artigiano o commerciante fornire le adeguate garanzie che il prestito venga restituito, e allora non si può fare altro che rinunciare ai propri sogni e sbattere la porta in faccia al futuro, rinchiudendosi nuovamente nella propria sfera di povertà.

Dalle aule alla strada

Muhammad Yunus è un professore bengalese, laureatosi negli USA alla Vanderbilt University. Conosce bene i meccanismi economici di un paese povero. Passeggiando per le vie di Dacca e per alcuni villaggi del Bangladesh, lui, con in tasca una laurea in una università prestigiosa, non riesce a capire come sia possibile che le tante teorie economiche che ha studiato e fatto sue negli anni di dottorato non siano in grado di far spiccare un salto in avanti ai milioni di suoi concittadini che ogni giorno sfidano le più grandi difficoltà per portare a casa qualcosa da mangiare. Il professor Yunus ha ben chiari in mente gli eccessi della finanza mondiale e le diseguaglianze che esse comportano, ma pensa che la finanza può entrare nella vita di ogni persona per regalargli un futuro migliore. E inventa un sistema creditizio rivolto ai poveri, i quali non hanno accesso ai canali finanziari regolari, come quelli bancari. Il micro-credito – micro, cioè piccolo, perché è un sistema basato sul prestito di piccole somme di denaro – è una rivoluzione nel mondo delle banche. Così, anche il contadino può chiedere un prestito per comprare il fertilizzante per i suoi campi e ottenere un raccolto più ricco, il commerciante può acquistare delle merci di migliore qualità e vendere di più, e la signora che raccoglie frutta nei suoi campi può riempire molte più bottiglie del succo dolce che prepara alla sera – e non bisogna avere un progetto milionario in testa per aver successo.


Il sistema ha una valenza planetaria, e dopo anni di diffusione e di presa di coscienza, il docente bengalese viene premiato con il  Nobel per la Pace. Non per l’economia, data la semplicità su cui si basa il sistema di micro-prestiti, ma forse questo riconoscimento ha un valore maggiore.


Micro-prestiti, per macro-rivoluzioni

Chiaro, anche il microcredito è un prestito: se vuoi che io ti conceda i miei soldi, ho bisogno che tu me li restituisca un giorno, altrimenti non posso finanziare altre idee, più e meno brillanti della tua. Così, dunque, chi ottiene i soldi necessari sa che dovrà lavorare sodo per rimborsare la “fiducia” concessa e se tutti coloro che richiedono il servizio ne sono consapevoli, il sistema diventa solido, chi ottiene il prestito diventa l’imprenditore che desiderava e chi presta il proprio denaro guadagna nel compenso maggiore che proprio l’imprenditore è disposto a esborsare, pagando un interesse, cioè una somma di denaro in più rispetto a quanto gli è stato concesso sin dall’inizio.

La bellezza di questo strumento sta nell’obiettivo condiviso da più parti, dunque: da un lato “il finanziere”, una persona che conosce molto bene la realtà locale in cui opera e sa quali progetti possono aver più e meno successo e richiedono più e meno fiducia. Il finanziere guadagna perché scommette nell’impegno di colui che fa richiesta del denaro, “l’imprenditore”. L’imprenditore, a sua volta, non è mai solo: il micro-prestito è concesso a un gruppo di persone, perché la fiducia si regge sulle relazioni sociali che intercorrono tra coloro che hanno accesso al fondo per sviluppare i propri progetti. “United we stand”: così se un membro del gruppo non riesce a rimborsare la quota dovuta al termine stipulato, ci sono i compagni che vengono in aiuto. Con la promessa che in futuro, chi ha avuto difficoltà oggi, possa offrire la sua mano domani.


L’istituto di microfinanza invia dunque i suoi emissari sul campo e intraprende un dialogo continuo, ben più informale e continuativo che nelle classiche banche. L’emissario vigila sull’impegno, stimola a superare le difficoltà e a volte dona i propri consigli per non rimanere bloccati.

Brillante, come le donne

Per la maggior parte dei casi, la microfinanza si rivolge alle donne. In un paese povero, hanno le idee più brillanti. Nicholas Kristof e Sheryl Wudunn, una coppia di giornalisti americani, la prima a vincere il Pulitzer per il giornalismo, hanno raccolto in un libro intensissimo le storie che hanno ascoltato in giro, nei luoghi dimenticati dall’umanità: “Half the sky: how to save the world”.


Le donne sono costantemente tra gli ultimi, povere tra i poveri, quasi fosse un ruolo sociale quello di esser dimenticate, violentate, abbandonate, disprezzate. Eppure, quando vanno a scuola risultano essere le migliori, quando subiscono violenze sono le prime a rialzarsi e quando hanno delle buone idee sono le più brave a trasformarle in realtà. Così, quello nella donna è potenzialmente l’investimento migliore che i paesi possono realizzare. Le conseguenze di una voce maggiore concessa alle donne stanno nei modi migliori in cui esse spendono il denaro ricavato con le loro attività: materiale scolastico per i figli, medicine per gli anziani della famiglia, strumenti per il miglioramento e il mantenimento della casa.


Il microcredito fornisce uno strumento in questa direzione: un trampolino di lancio per un gruppo di donne che vuole cambiare la realtà in cui vivono e vogliono dimostrare il proprio valore in una società dominata dall’uomo, il quale difficilmente concede spazio, per motivi culturali, religiosi, storici. Le donne si appoggiano le une alle altre, facendosi forza e spazio a suon di idee. Così il gruppo può crescere e creare.

Svolta vera?

Seppur forte e rivoluzionario, seppur abbia permesso a molte famiglie di uscire dalla miseria della sussistenza con meno di un dollaro al giorno, seppure sia in crescita e venga conosciuto da sempre più persone nel mondo, il microcredito da solo non può cancellare la povertà. E’ con il paper “The Miracle of Microfinance? Evidence from a randomized evaluation”, scritto nel 2009, che gli economisti del Massachussets Institue of Technology, Esther Duflo, Abijit Banerjee, Rachel Glennerster e Cynthia Kinnan mettono in evidenza i limiti della microfinanza, per frenare gli entusiasmi e invitare a imparare da errori e possibili limitazioni. In particolare, in questo studio condotto in India, i ricercatori non trovano alcun effetto dell’accesso al microcredito su spese mediche, educazione, né un miglioramento della posizione della donna all’interno della famiglia. Inoltre, se coloro che ricevono il prestito non sono imprenditori o non hanno nemmeno voglia di iniziare una attività produttiva, con i soldi  ricevuti in prestito si limitano ad aumentare l’acquisto di prodotti di consumo, anziché di beni da utilizzare in attività imprenditoriali. In sintesi, il microcredito può rivoluzionare la vita di chi ha già messo su un’attività o ha idee pronte da sviluppare concretamente, non quella di tutti. Cioè, dato che non siamo tutti potenziali imprenditori, la portata del microcredito è più limitata di quello che ha fatto sperare la sua creazione. Inoltre, un’attività imprenditoriale è per definizione rischiosa, dunque non sempre chi ottiene un prestito ha successo e anzi ci si può trovare semplicemente con un debito in più da pagare.


Un alleato

Ad ogni modo, rimane un alleato formidabile nella lotta alla povertà. Ritmi Africani ne concepisce una variante che lo rende più simile a una “tontine”, un meccanismo di prestiti a rotazione, in cui un gruppo si riunisce e mette a disposizione il proprio denaro che va a ogni membro a turno, finché il giro si esaurisce. Estate 2012: l’associazione ha lanciato il suo “esperimento”. Due gruppi di donne mandano avanti le proprie attività da un paio di anni.


A Baback, nell’entroterra senegalese, le donne di uno dei quartieri del villaggio, producono il pane e dolci, a lungo utilizzando semplicemente pentole e brace. Per aumentare la produzione e dunque le vendite, mancano i fondi, ma sarebbe necessario costruire un forno che permetta loro di esser più efficienti e veloci.


A Popenguine, a 70 km a sud di Dakar, una suora ha insegnato alle donne del villaggio come produrre saponi artigianali e altri prodotti per l’igiene e la disinfettazione. Il prodotto si vende bene nei mercatini del villaggio, ma i ricavi coprono appena i costi e per migliorare la produzione, con qualche variante ai soliti detergenti e qualche particolarità che aumenti il valore di ciò che viene venduto, occorrerebbe una maggiore disponibilità finanziaria che possa ad esempio sostenere la formazione delle donne in nuovi processi di preparazione dei saponi.

Una buona partenza

Il microcredito concede i giusti incentivi: non si tratta di una donazione, lontana ormai dai principi che sorreggono l’associazione italiana, ma una “promessa” di sviluppo con le donne. Per dodici/quindici mesi queste ultime si impegnano a restituire una somma di denaro pari a 500/600 euro maggiorata di un interesse uguale per entrambi i gruppi imprenditoriali, ma ben al di sotto del classico tasso richiesto dalle istituzioni di microfinanza vere e proprie. Il motivo è che Ritmi Africani non punta a guadagnare dalle attività che appoggia, ma spende tutti i suoi fondi per lo sviluppo delle realtà locali in Senegal. L’interesse dunque è un incentivo a incrementare l’impegno e produrre di più, per restituire il fondo “promesso”. Tutta la differenza rimane nelle loro mani. Inoltre, il fondo, come da promessa, andrà reinvestito nelle attività di villaggio; per cui, di fatto, il denaro cui le donne hanno accesso è solo momentaneamente prestato, perché farà parte integrante dei fondi a disposizione per lo sviluppo di altre idee all’interno del proprio villaggio. Per iniziare con un progetto nuovo, e così via, di anno in anno.


Le donne di Baback hanno allargato il proprio core business, cioè la loro attività principale, al commercio di articoli di bigiotteria e hanno atteso la fine della stagione delle piogge per la costruzione definitiva di un forno in argilla che permette loro, adesso, di produrre fino a 20 kg di pane al giorno con il costo irrisorio di 2 euro al giorno di combustibile (legna). Le donne di Popenguine hanno subito intrapreso la formazione e dopo alcune difficoltà iniziali, dovute a  divisioni interne al gruppo fra donne più intraprendenti e donne più timorose nel lanciarsi nell’attività, hanno iniziato con successo e più regolarità la loro produzione.

Il tutto è rendicontato da Coeur Action, il volto senegalese dell’associazione italiana, con i suoi volontari, che fungono da anello di congiunzione con quelli italiani. Non è ancora una storia di successo – troppo presto, dal momento che i progetti non hanno compiuto nemmeno un anno, ma le buone notizie caricano di ottimismo e l’entusiasmo è dipinto sui volti delle donne e dei volontari.


Il microcredito è dunque un buon punto di inizio. In esso scopi elevati e interessi particolari riescono a coniugarsi; rappresenta una leva contro la miseria e ha lasciato ormai il suo segno nella storia di questo millennio partendo dalla strada, dalla polvere e dalle delusioni degli ultimi, passando attraverso le lenti delle teorie economiche. www.noisefromafrica.wordpress.com


Francesco Loiacono






lunedì 22 aprile 2013

Oggi 22 aprile 2013 è la Giornata della Terra




Oggi 22 aprile è la Giornata della Terra. Ma un giorno basterà a cambiare le sorti del nostro pianeta? E’ forse quello che si chiedono da alcuni anni anche gli organizzatori di un’importante evento internazionale: The Earth Day, la più grande manifestazione ambientale del pianeta, l’unico momento in cui tutti i cittadini del mondo si uniscono per celebrare la Terra e promuoverne la salvaguardia. La Giornata della Terra, momento fortemente voluto dal senatore statunitense Gaylord Nelson e promosso ancor prima dal presidente John Fitzgerald Kennedy, coinvolge ogni anno fino a un miliardo di persone in ben 192 paesi del mondo e dal 1970 fa l'obiettivo lavora per promuovere la formazione nei cittadini e nelle istituzioni di una nuova coscienza ambientale. Gli eventi climatici catastrofici che si verificano sempre più di frequente, secondo molti studiosi, non sarebbero frutto di una normale alternanza climatica ma di qualcosa di più importante e pericoloso per il benessere del nostro pianeta. Ma è possibile contrastare il riscaldamento globale? Damon Matthews della Concordia University di Montréal e Susan Solomon del MIT sostengono, due scienziati sostengono - in una recente intervista rilasciata alla rivista Science - che il global warming è ormai irreversibile, ma anche che i suoi effetti sono ancora contenibili, a patto di agire e che bisogna chiarire e rendere univoci a tutto il pianeta due concetti chiave relativi al global warming: 1. la irreversibilità dei cambiamenti climatici in atto.

Il pianeta si sta riscaldando. È un dato di fatto ed è irreversibile. 2. La inevitabilità delle peggiori conseguenze possibili.


Ma la velocità con la quale il pianeta si riscalda e di quanti gradi aumenterà la temperatura media globale nei prossimi decenni sono fattori ancora nelle nostre mani e le nostre azioni li influenzeranno in modo significativo. Gli scenari peggiori, insomma, sono evitabili. Irreversibile, ma non inevitabile e i due scienziati sono convinti che i cambiamenti climatici che già avvertiamo come abitanti di questo pianeta e che sono già avvenuti sono irreversibili e sono assolutamente scientifici soprattutto se comparati a quelli di qualche secolo fa. Cambiare si può? E' necessario ridurre i gas serra, invertire la rotta di un consumo insensato, fermare la deforestazione, cambiare la mentalità dei cittadini ... «Nel corso degli anni ho sentito molti politici affermare che la situazione è senza speranza, in qualche modo obbligata dalle emissioni già presenti in atmosfera», afferma Matthews, che considera questa posizione "una buona scusa per non agire". “ ...e non è vero che il tasso di aumento della temperatura globale sia ormai determinato, indipendentemente dalla quantità o dalla velocità di riduzione delle emissioni. Il global warming c'è e ci sarà, ma il modo e la velocità con cui aumenteranno le temperature non sono ancora condizionati dal sistema climatico ma dalle nostre scelte».


I fallimenti delle annuali conferenze sul clima offrono uno scenario deludente e nei paesi altamente industrializzati manca la volontà di intervenire su di un sistema di sviluppo che deve raffrontarsi e mettersi in linea con crescite economiche e PIL ad alto incremento in paesi come Cina e India. Il lavoro di ricerca e di promozione e sensibilizzazione di Matthews e Solomon ha trovato molte ed importanti nel mondo scientifico, come la ricercatrice Katharine Hayhoe, climatologa presso la Texas Tech University, la quale afferma che l'equivoco tra irreversibile e inevitabile è un errore tipico dei politici che non vogliono determinare una “rivoluzione” culturale sul tema dell'ambiente. La stessa è inoltre consapevole che nel lavoro di Matthews e della Solomon vi sia un messaggio di fiducia negli uomini perché un'azione di promozione e cambiamento può combattere «l'inerzia che ci porta a credere che ogni azione sia inutile. Ma agire», afferma, «è possibile, oltre che necessario».
A cura di Gabriella Dragani






Cos'è la CO2 equivalente?
È un metodo che permette di confrontare l'impatto dei diversi gas serra riducendoli tutti, nei calcoli, a una quantità equivalente di anidride carbonica (CO2). Oltre a quest'ultima, altri gas serra di origine sia naturale sia antropica (ossia prodotti dall'uomo) sono: il vapore acqueo (H2O), il protossido di azoto (N2O, ossido di diazoto), il metano (CH4). Altri gas serra, ma di origine esclusivamente antropica, sono: i clorofluorocarburi (CFC) e altre molecole cloro-fluoro, e un'ampia gamma di gas alogenati, che hanno applicazioni civili (per esempio in anestesia) e militari (armi chimiche).

martedì 2 aprile 2013



CORSO FORMAZIONE
L’Associazione Be Equal di Cosenza, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Lappano, l’Associazione Entropia-UNICAL e il Centro Servizi per il Volontariato di Cosenza (CSV), organizza il 1° corso di progettazione “Progettiamo il sociale” con l’obiettivo formativo di fornire ai partecipanti strumenti per l'acquisizione di una mentalità ed un’attitudine di tipo progettuale, un'abilità nell’elaborare e attuare progetti nelle diverse fasi, sviluppare capacità di collaborazione nell’azione progettuale tra figure professionali di settori e servizi diversi. Il corso prevede momenti comuni di studio: formazione in aula, studio individuale e di gruppo, apprendimento formale ed informale , workshop e focus esperienziali nel rispetto delle aspettative e del ruolo dei partecipanti. Le lezioni mirate analizzeranno i bandi locali, regionali e nazionali nei settori sociali e ambientali per fornire le tecniche di base e competenze specifiche di progettazione sociale. Il corso è gratuito e al  termine del corso sarà rilasciato attestato di partecipazione.
Il corso si terrà ogni mercoledì dalle 15.00 alle 18.00 ( prevede n. 6 moduli a partire dal 17 aprile p.v.) , presso la biblioteca Comunale di Lappano ed è indirizzato a tutti i soggetti interessati e sensibili alle tematiche trattate. Per iscrizioni e info: odv.beequal@gmail.com , Segreteria del Comune di Lappano, tel. 3288754981 / 3899875488.
Termine ultimo per le iscrizioni : entro e non oltre il 16.04.2013

lunedì 1 aprile 2013


ECPAT  Italia e i diritti dei bambini nel mondo


Conosci l'inglese e sai usare il computer? Hai voglia di dare il tuo contributo a favore dei diritti dei bambini? Diventa una "letterina" di ECPAT Italia. Di cosa si tratta? Le letterine sono  volontari che traducono le lettere dei bambini dalla Cambogia e quelle dei sostenitori italiani. Potrai così migliorare il tuo inglese ed essere solidale con bambini che vivono dall'altra parte del  mondo. ECPAT difende i diritti dei bambini dal pericolo del turismo sessuale e del mercato del sesso, per trasformare la loro condizione: da schiavi a bambini.

Oggi Ecpat è la più grande rete internazionale di organizzazioni che si occupano di combattere il  turismo sessuale e lo sfruttamento sessuale dei minori. La Rete è' presente in oltre 70 paesi attraverso organizzazioni che realizzano progetti di recupero delle vittime, progetti di prevenzione, campagne di informazione e sensibilizzazione sul fenomeno, azione di monitoraggio, promozione di leggi e utilizza il suo know-how per organizzare corsi di formazione per nuovi operatori e volontari.

La sigla ECPAT è l'acronimo di End Child Prostitution Pornography And Trafficking, che significa porre fine alla prostituzione e alla pornografia di bambini, al traffico di minori a scopi sessuali.
Per informazioni può visitare il sito ecpat.it oppure scrivere a sad@ecpat.it. Partecipa. Si può essere volontari anche da casa propria!
A cura della Dott.ssa Gabriella Dragani