Un sondaggio di Eurobarometro dell’ottobre 2010 ha chiesto ai
cittadini della Ue di definire il loro status e i diversi diritti che
possiedono come cittadini dell’Unione europea. I risultati dicono
che il 58% degli italiani sa cosa vuol dire essere cittadini europei;
il 30% conosce il termine ma non sa cosa vuole dire e l’11% non ne
ha mai sentito parlare. Rispetto ai diritti di cittadinanza la
percentuale precipita: il 51% non è bene informato e il 15% non ne
sa nulla. Inoltre per la maggior parte sono consapevoli di essere
«sia cittadini dell’Ue sia della propria nazione». Tuttavia,
circa un quinto degli intervistati pensa che «si può scegliere di
essere cittadini della Ue».
Abbiamo chiesto a Gregorio Arena, docente di diritto
amministrativo all’Università di Trento e alla Luiss di Roma,
nonché presidente di Labsus (Laboratorio per la sussidiarietà) e
studioso di cittadinanza attiva, come dobbiamo leggere questi dati e
quali conseguenze possiamo trarne.
«La cittadinanza europea la si acquisisce solo se si è cittadini
di uno stato membro dell’Unione europea. L’aspetto interessante è
che l’Ue ha preso una posizione molto netta di non intervento nelle
modalità di acquisizione della cittadinanza dei Paesi membri. Le
nazioni che hanno fondato l’Europa sono partite dall’assunto di
non volere più guerre, rinunciando così all’uso della forza nella
relazione tra di loro. Poi hanno rinunciato a battere una moneta
nazionale e hanno condiviso l’euro. Però non hanno rinunciato a
voler determinare i modi con cui si diventa cittadini della propria
nazione. È come se il caposaldo della sovranità nazionale fosse
intoccabile. Perché l’esser cittadino di uno Stato vuol dire
essere parte di una comunità, quindi c’è un dentro e un fuori sia
metaforico che materiale. Si diventa cittadini europei solo se si è
cittadini di una Nazione europea, ma sul come lo si diventa l’Unione
non è in grado di offrire alcun consiglio. Qualche anno fa per
esempio, abbiamo registrato che in America Latina, in particolare in
Argentina, tantissimi discendenti di italiani richiedevano la
cittadinanza italiana. Ma il vero motivo di questa forte richiesta,
soprattutto negli anni pre-crisi, era proprio per avere la
possibilità di muoversi liberamente nello spazio europeo, quindi non
da immigrato extracomunitario. Infatti la legge italiana sulla
cittadinanza privilegia lo ius sanguinis - il diritto di
sangue - e quindi riconosce il diritto ad essere cittadini italiani a
persone che non hanno nulla a che fare con l’Italia e che di fatto
vivono in un altro Paese, mentre non lo riconosce ai 900 mila ragazzi
figli di immigrati nati in Italia ma che appunto non sono figli di
italiani. Eppure non sono stranieri dato che vivono qui, vanno a
scuola, fanno parte di una comunità. Non c’è un fuori da cui sono
venuti essendo nati qui. Dunque questo tema della cittadinanza
nazionale è cruciale perché poi ogni Stato decide chi deve essere
cittadino e, di conseguenza, se diventa cittadino europeo. Se noi
riconoscessimo ai 900 mila ragazzi figli di immigrati il diritto alla
cittadinanza in virtù dello ius soli – diritto del suolo
– per il fatto di essere nati sul territorio dello Stato, questi
900 mila diventerebbero automaticamente cittadini europei.
«Il volontariato è una delle dimensioni fondamentali della
cittadinanza attiva e della democrazia, nella quale assumono forma
concreta valori europei quali la solidarietà e la non
discriminazione e in tal senso contribuirà allo sviluppo armonioso
delle società europee». Sono passaggi fondamentali della decisione
del Consiglio Europeo del 27 novembre relativa all’Anno europeo
delle attività di volontariato che promuovono la cittadinanza
attiva. Una decisione che incentra la sua azione sul sostegno agli
Stati membri di portare al centro del dibattito l’azione volontaria
e di promuovere scambi di esperienze e buone prassi tra le
associazioni. Dare visibilità a un mondo operoso, poco raccontato
dai media, ma che attraverso attività e iniziative e relazioni pone
al centro la comunità e il territorio nei quali opera. Lei pensa che
l’Italia sia pronta a tutto questo?
Sì, il volontariato è uno dei pochi punti di riferimento
dell’opinione pubblica italiana frastornata e delusa. Infatti i
dati sulla fiducia nei partiti sono in discesa, solo il 14% degli
italiani si fida dei partiti politici. Un consenso in caduta libera,
se teniamo conto che nel ‘93, dopo Tangentopoli, la fiducia era al
24% e riguardava solo alcuni partiti. Vent’anni dopo è precipitata
ai minimi storici e si estende a tutti i partiti. Quella che abbiamo
di fronte è una situazione pericolosissima dal punto di vista della
tenuta del sistema democratico, soprattutto quando il rispetto nei
confronti dei partiti raggiunge queste percentuali così basse. In
compenso le associazioni di volontariato riscuotono un’altissima
fiducia. Secondo il rapporto Italia 2011 di Eurispes, le
organizzazioni che ogni giorno si impegnano sul fronte della
solidarietà verso il prossimo sono capaci di raccogliere tra gli
italiani un indice di gradimento vicino all’80%. L’Italia sembra
dunque essere un terreno di coltura particolarmente fertile per il
volontariato sia per caratteristiche storiche, sia per tradizione. Se
è vero infatti che il municipalismo, il localismo, sono concetti
negativi, perché introducono egoismi territoriali e frammentazione,
è altrettanto vero che dal punto di vista dell’esercizio delle
forme di volontariato sono un vantaggio. Perché il volontariato si
esprime soprattutto a livello di comunità locale.
Poi c’è il capitolo del pluralismo. L’Italia, grazie
all’articolo 2 della Costituzione che riconosce le formazioni
sociali, è un terreno fertile di associazioni, movimenti,
organizzazioni, comitati. E, per il rovescio della medaglia, questo è
anche uno dei motivi per cui nel nostro Paese è più difficile
amministrare. Ma, se le amministrazioni pubbliche rispecchiano le
società di cui sono a servizio, allora l’amministrazione pubblica
italiana è un’amministrazione molto frammentata, il cui problema
principale spesso è il coordinamento, proprio perché rispecchia la
società in cui è inserita. Dalla società italiana arrivano
continuamente anche spinte minuscole, ma che sono segno di vivacità
e di vitalità. Quanti sono i comitati di persone che si impegnano
sul territorio? Tantissimi. Ma, non ultimo, l’Italia è l’unico
Paese europeo, tranne la Polonia che ha un piccolo articolo simile,
che ha riconosciuto in maniera esplicita il principio di
sussidiarietà nella Costituzione. Devo anche sottolineare che mi è
successo di incontrare rappresentanti del volontariato di altri Paesi
europei che erano assolutamente allibiti all’idea che la
Costituzione italiana riconoscesse la cittadinanza attiva e quindi il
volontariato.