In
questo post vorrei parlare di un concetto che ritroviamo spesso
negli ultimi tempi legato strettamente al mondo no profit. I beni
relazionali. Cercheremo di approfondire questo concetto mettendo al
centro della prospettiva relazionale la categoria del “bene
relazionale”. Il concetto di “bene relazionale”, introdotto nel
dibattito teorico alla metà degli anni Ottanta (1986) dal filosofo e
sociologo Pierpaolo Donati e dalla filosofa Martha Nussbaum, si è
sviluppato grazie al contributo di diverse discipline, prima fra
tutte l’economia. Partiamo dai singoli termini: “bene
relazionale”, bene e relazionale. Il termine “bene” viene
considerato in una prospettiva sociologica: un bene è pertanto “una
realtà che soddisfa dei bisogni propriamente umani, ed è «buona»
in quanto realizza questo soddisfacimento”. Secondo tale
interpretazione “il concetto di bene equivale a quello anglosassone
di good quando
viene riferito a una «entità concreta» che viene scambiata e
circola tra le persone e i gruppi sociali”, ma che non si
identifica con una merce. Il termine “relazionale” rimanda alla
relazione sociale “in quanto realtà che «fa» la società e
costituisce i fatti sociali”. È solo all’interno di una
prospettiva relazionale che è possibile comprendere la specificità
dei beni relazionali: “Questa teoria ci consente di arrivare a
definire i beni relazionali come quelle entità immateriali che
consistono nelle relazioni sociali che emergono da agenti/attori
riflessivamente orientati a produrre e fruire assieme di un bene che
essi non potrebbero ottenere altrimenti”. In questa ottica la
relazione assume una sua “materialità”, nel momento in cui
diviene essa stessa “bene”. Ciò che distingue l’approccio
economico ai beni relazionali è chiamare beni quelle dimensioni
delle relazionali che non possono essere né prodotte né consumate
da un solo individuo, perché dipendono dalle modalità delle
interazioni con gli altri e possono essere goduti solo se condivisi
nella reciprocità.
I
prodotti tipici dei soggetti operanti nel terzo settore sono beni e/o
servizi di tipo relazionale: un bene o servizio viene definito di
tipo relazionale quando implica una condivisione, cioè quando può
essere sia prodotto che fruito insieme da coloro che ne sono i
produttori e i fruitori, attraverso appunto lo svolgersi della
relazione che lega i due soggetti; il bene è definito così
relazionale per il fatto che implica una relazione. I beni o servizi
relazionali possiedono un’alta utilità sociale, e vengono erogati
nell’interesse e a favore della collettività; non possono quindi
essere suscettibili di una valutazione economica, ma il loro valore è
determinato dall’intensità della relazione umana che il volontario
riesce ad instaurare con il destinatario della sua azione. Questa
relazione che si viene così a creare è ben sintetizzabile con la
frase “Si dà, ma in contemporanea si riceve”, volta proprio ad
esprimere come l’operatore svolga un’azione di gratuità e ne
riceva in cambio, oltre a un senso di appagamento a livello
personale, anche un riconoscimento da parte del destinatario della
sua azione. Tali organizzazioni di terzo settore sono facilitati
nell'offerta di questa tipologia di beni a contenuto relazionale,
in quanto per la loro realizzazione è strettamente necessaria una
componente umana, forti motivazioni da parte degli operatori
impegnati, un forte legame con la comunità locale ed un elevato
radicamento territoriale, il tutto in grado di garantire rapporti tra
operatori e fruitori ad elevata connotazione fiduciaria. ( Andrea
Balla) Diversa ancora è la posizione di Martha Nussbaum, filosofa di
formazione neo-aristotelica. Secondo Luigino Bruni, per la filosofa
americana i beni relazionali sono quelle esperienze umane dove è il
rapporto in sé a costituire il bene; la relazione inter-soggettiva,
quindi, non è un qualcosa che esiste indipendentemente dal bene che
si produce e/o si consuma. La differenza dunque tra i beni
relazionali in senso stretto e i beni nei quali la qualità della
relazione che si instaura tra i contraenti è una caratteristica
importante del bene e del suo valore (come in molti servizi alla
persona), risiede nel fatto che nei beni relazionali è la relazione
in sé a costituire il bene economico: sono «beni di relazione», la
relazione è il bene e non strumento per o funzionale allo scambio
economico. Dunque secondo il modello relazionale il capitale sociale
si configura come un particolare bene relazionale che compare al di
là dell’individuo e della collettività, fatto di relazioni
costruite mediante l’interazione. In tal senso i beni relazionali
escono dal campo strettamente teorico e diventano uno strumento
operativo per progettare interventi nel sociale, in cui la
costruzione di capitale sociale è basilare per la coesione e
l’inclusione di soggetti svantaggiati e in difficoltà.
A
cura di Gabriella Dragani
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