lunedì 31 marzo 2014

Povertà, il rapporto Caritas 2014

E' stato presentato proprio oggi il rapporto della Caritas 2014 sulla povertà in Italia. E' stato pubblicato da Vita.it. Ci occupiamo di sociale e inclusione. Ci è sembrato doveroso pubblicarlo. 

La Redazione di Be Equal 







Allarmanti i dati del Rapporto. Cresce la percentuale di persone in situazione di povertà, che nel 2012 erano il 30,4% il 66% di chi chiede aiuto dichiara di non riuscire a provvedere all'acquisto dei beni di prima necessità. Sono perlopiù italiani, divisi equamente tra uomini e donne. Cresce la povertà infantile, di oltre cinque punti superiore alla media europea. È stato presentato oggi ill 'Rapporto 2014' della Caritas italiana sulla povertà e l'esclusione sociale intitolato 'False partenze', in occasione del convegno nazionale delle Caritas diocesane (in allegato il rappotro integrale). La Caritas sottolinea, nel suo studio, come i particolare l’innalzamento dell’età pensionabile e il mancato adeguamento di sei milioni di pensioni ai cambiamenti del costo della vita abbiano avuto un impatto negativo sulle famiglie italiane. Questo soprattutto in un periodo in cui i giovani trovano con difficoltà lavoro e sono in gran numero disoccupati (fra i sette paesi analizzati dal rapporto l’Italia ha la percentuale più alta di Neet, giovani che né studiano né cercano lavoro), facendo quindi diventare il contributo dei pensionati ai redditi familiari ancora più importante. Un record di crescita negativo, l’Italia lo fa registrare per la percentuale di persone in situazione di povertà, che nel 2012 erano il 30,4% (18,5 milioni), al ventunesimo posto nella classifica dei paesi peggiori per quanto riguarda questo indicatore nell’UE a 28. Fra il 2010 e il 2011, nessuno Stato membro ha registrato una crescita dei poveri alta come quella verificatasi in italia. E fra il 2011 e il 2012, solo la Bulgaria ha fatto peggio di noi. Come se non bastasse, mentre in Italia è molto alto il rischio di trovarsi in situazione di povertà, è molto difficile poi uscirne. E una piaga particolarmente grave è quella della povertà infantile, di oltre cinque punti superiore alla media europea, tanto che l’Italia è a rischio di crescita dello sfruttamento del lavoro minorile.

Infine aumentate del 10%, nel nostro paese, le disuguaglianze di reddito fra il 2008 e il 2011.

La povertà aspetta dopo la rottura dei rapporti coniugali, infatti, il 66,1% dei separati che si rivolgono alla Caritas dichiara di non riuscire a provvedere all'acquisto dei beni di prima necessità. Prima della separazione erano solo il 23,7 per cento.

Altre conseguenze della separazione: aumenta il ricorso ai servizi socio-assistenziali del territorio come anche la crescita di disturbi psicosomatici (66,7% accusa un più alto numero di sintomi rispetto alla pre-separazione. Inoltre, la separazione incide negativamente nel rapporto padri-figli: il 68% dei padri (46,3% delle donne) intervistati riconosce un cambiamento importante a seguito della separazione; tra i padri che riconoscono un cambiamento il 58,2% denuncia un peggioramento nella qualità dei rapporti (le madri al contrario riconoscono per lo più un miglioramento).

Tra i separati/divorziati che si sono rivolti ai centri di ascolto della Caritas la gran parte è di nazionalità italiana (85,3%); in termini di genere c'è una leggera prevalenza delle donne (53,5%), rispetto agli uomini (46,5%) anche se si può parlare quasi di un'equa divisione. Il 42,9% è coinvolto in separazioni legali, il 28,1% in separazioni di fatto e il 22,8% in procedimenti di divorzio. Nel Rapporto un capitolo è dedicato al giudizio della Caritas europea che boccia senza appello la Troika e la politica di austerità imposta da Ue, Bce e Fmi ai paesi travolti dallo Tsunami dei debiti sovrani negli ultimi cinque anni. Il secondo "Rapporto sulla crisi" messo a punto dall'organizzazione cattolica - 114 pagine di analisi sui dati finanziari ed economici dei conti dei cosiddetti Piigs (Italia compresa) - è durissimo. "La politica di austerità non funziona. Serve e presto, un’alternativa", precisa lo studio. A cinque anni dall’inizio della crisi la disoccupazione è in aumento, 124 milioni di persone (il 25% dei cittadini dei 27) vivono sulla soglia della povertà. Nello stesso tempo i tagli ai servizi sociali riducono molta gente in condizioni molto difficili "colpendo alla fine la parte più debole della società".

"A Bruxelles continuano a dirci che la crisi è finita - ha raccontato presentando lo studio Thorfinnur Omarsson, portavoce della Caritas -. Ma a noi risulta il contrario. E a pagare il pedaggio più salato alla recessione sono le persone che di sicuro non l'hanno causata". Come? Il rapporto non lascia dubbi: "L'accesso ai servizi sanitari universali si sta restringendo, con un impatto pesante sulla salute dei cittadini europei. E i paesi in difficoltà sono quelli dove si stanno aprendo i gap maggiori tra ricchi e poveri". La conclusione è tranchant. La politica lacrime e sangue imposta dalla Troika è "un processo iniquo, sbagliato economicamente e ingiusto". "L’opposto di quello che prevedeva la strategia di inclusione di Europa 2020". "Stiamo assistendo a una situazione in cui le disuguaglianze stanno crescendo e si sta creando una classe di nuovi poveri", ha spiegato Artur Benedyktowitz, responsabile politici sociali della Caritas Ue. Il 20% dei più ricchi d'Europa, spiega il rapporto, guadagna cinque volte quello che entra in tasca al 20% più povero.

Cosa si deve fare ora? Trovare subito una politica alternativa, suggerisce l'organizzazione. "Nessuno dice che non servano riforme strutturali - dice la Caritas -. Ma bisogna implementarle tenendo conto molto di più delle loro conseguenze strutturali". Le banche - continua iol rapporto - "devono pagare per i loro errori. E le colpe delle loro scommesse finanziarie non vanno scaricate sui depositi dei correntisti". Se non si puiniscono i colpevoli nel mondo della finanza, "si incentiva il comportamento fraudolento". La Troika ha prestato grande attenzione agli interventi fiscali - prosegue lo studio - monitorandoli un centesimo per uno, ma non ha previsto alcun indicatore della situazione sociale dei paesi sotto austerity.
I suggerimenti: inserire indicatori sociali oltre il rapporto deficit/ pil per valutare la bontà delle riforme, più trasparenza sugli interventi della Troika, più monitoraggio sociologico per le fasce più deboli e un salario minimo ai disoccupati, più findi per combattere la diosccupazione giovanile.

La Caritas in numeri: 2.832 centri di ascolto, 767.144 interventi (di ascolto, aiuto materiale, orientamento e consulenza, segretariato sociale, ecc.) erogati nel corso del 2013 a favore di 135.301 persone o famiglie. E poi 561.525 interventi di aiuto materiale a favore di persone e famiglie in difficoltà erogati nel corso del 2013, presso 128 diocesi italiane, di cui 27.894 interventi di alloggio, 478.104 erogazioni di beni e servizi materiali, 37.832 sussidi economici, 17.695 interventi sanitari. Ancora: 92.484 interventi di orientamento, 3583 prestiti erogati dal 2009 al 2013, nell'ambito del Prestito della Speranza (iniziativa anticrisi Cei-Abi), corrispondenti ad un ammontare di oltre 22 milioni di euro. E infine 1148 progetti anti-crisi economica delle diocesi italiane, di cui 163 Fondi diocesani di solidarietà e 143 progetti di microcredito per famiglie o piccole imprese.
da Vita.it

giovedì 27 marzo 2014

FA' LA COSA GIUSTA!

Fiera del Consumo critico e degli stili di vita sostenibili.
Nata nel 2004 a Milano da un progetto della casa editrice Terre di mezzo, Fa' la cosa giusta!, fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, si prepara a vivere la sua undicesima edizione dal 28 al 30 Marzo 2014 e si svolgerà come di consueto presso i padiglioni 2 e 4 di Fieramilanocity, storico quartiere fieristico di Milano.
Fa' la cosa giusta!, fin dalla sua prima edizione, ha come obiettivo quello di diffondere sul territorio nazionale le "buone pratiche" di consumo e produzione e di valorizzare le specificità e le eccellenze, in rete e in sinergia con il tessuto istituzionale, associativo e imprenditoriale locale.

L'esperienza del marzo scorso si è conclusa con la presenza di 72.000 visitatori (+8% rispetto 2012), 700 realtà espositive, 3.300 studenti e 750 giornalisti accreditati, 170 appuntamenti culturali. Un mondo dell'economia solidale rappresentato in vari contesti e in costante crescita.

In questi anni è infatti cresciuto notevolmente l'interesse per il mondo che si riconosce nella definizione di "Economia Solidale": un sistema di relazioni economiche e sociali che pone l'uomo e l'ambiente al centro, cercando di coniugare sviluppo con equità, occupazione con solidarietà e risparmio con qualità. Sempre più realtà produttive, infatti, intraprendono un percorso di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale e, al contempo, cresce il numero di cittadini consapevoli dell'importanza e della forza che risiede nella loro capacità di partecipazione diretta e nelle loro scelte di acquisto.

Il circuito nazionale comprende oggi:
Fa' la cosa giusta! Trento (IX edizione - 25-27 ottobre 2013)
Fa' la cosa giusta! Sicilia (II edizione - 8-10 Novembre 2013 Palermo)

Le due anime di Fa' la cosa giusta!, quella culturale e quella espositiva si evidenziano nel susseguirsi di oltre 170 appuntamenti, tra tavole rotonde, convegni, laboratori e spettacoli e nei 700 espositori che danno vita alla mostra/mercato costituita da 11 sezioni tematiche:
ABITARE GREEN
Arredamento eco-compatibile, equo e solidale; design per la sostenibilità e l'accessibilità; studi di progettazione sostenibile, autocostruzione, complementi d'arredo con materiali naturali o di riciclo, detersivi eco compatibili, aziende di raccolta dei rifiuti e di macchine e sistemi per la raccolta e il riciclo, bio-edilizia e bio-architettura, risparmio energetico, agevolazioni fiscali e finanziamenti etici, energia prodotta da fonti rinnovabili. Spazio Orti e giardini.

COMMERCIO EQUO e SOLIDALE 
Empori e botteghe del mondo, produttori del Sud del mondo, associazioni di rappresentanza del commercio equo e solidale.
COSMESI NATURALE E BIOLOGICA
Prodotti per la bellezza, la cura del corpo e l'igiene personale.
CRITICAL FASHION
"Consumare moda critica" significa dedicare attenzione non solo allo stile e alle tendenze, ma anche e soprattutto alle caratteristiche etiche dei capi che si indossano; il vestire acquista sempre più un valore simbolico, diventa il tramite per un messaggio relativo ai nostri valori, alla nostra identità, al nostro stile di vita.

EDITORIA E PRODOTTI CULTURALI 
Siti, periodici, case editrici, case di produzione cinematografica e discografica, gruppi, associazioni, cooperative, imprese impegnate nella produzione e/o distribuzione di progetti e prodotti culturali.

IL PIANETA DEI PICCOLI
Abbigliamento, arredamento, giochi, prodotti per l'igiene personale e per la cura del bambino.

MANGIA COME PARLI 
Aziende agricole (produttori e trasformatori) e distributori biologici e biodinamici; realtà che difendono la biodiversità; produttori locali a "Km 0"; associazioni e istituzioni impegnate in progetti di educazione all'alimentazione e in difesa della sovranità alimentare, consorzi di tutela dei prodotti tipici.
MOBILITA' SOSTENIBILE
Associazioni, enti pubblici e imprese profit e non profit impegnate nella diffusione di strumenti di mobilità sostenibile: bicicletta, trasporto pubblico, car sharing, car pooling, apparecchi elettrici e a idrogeno.
PACE E PARTECIPAZIONE
Associazioni locali e nazionali, distretti e reti, campagne, gruppi informali, gruppi d'acquisto, associazioni per la pace e la nonviolenza, Ong, volontariato, banche del tempo, comunità di vita, associazioni di tutela dei consumatori (Salone dei Consumatori), sindacati
SERVIZI PER LA SOSTENIBILITA'
Servizi vantaggiosi e sostenibili dal punto di vista sociale e ambientale.

TURISMO CONSAPEVOLE
Associazioni, enti pubblici, imprese profit o non profit e altre realtà impegnate nell'organizzazione e nella promozione di un turismo rispettoso dell'ambiente, dei diritti dei popoli e dei lavoratori


martedì 25 marzo 2014

Mettiamoci InMovimento, al via la consultazione online

Da oggi al via la consultazione online della piattaforma civica proposta da Vita in collaborazione con Fondazione Ahref. 



È il punto di intersezione tra concetto di “media” (ovvero uno strumento per trasmettere, per “mediare”) e l’attivazione come espressione più compiuta di una cittadinanza responsabile. Il tutto, in una forma semplice, immediata, fruibile nel modo più aperto e accessibile: una piattaforma web. Per dirla con Henry Jenkins, i media civici possono essere definiti come «media usati per promuovere e amplificare l’impegno civico».
In Italia il primo esperimento compiuto di realizzazione e messa a disposizione di questo strumento di cittadinanza attiva è stato tradotto in realtà da Fondazione <Ahref, che con la piattaforma Civici ha messo a disposizione di cittadini, partiti, organizzazioni e istituzioni uno strumento per discutere, condividere e organizzare le proposte di una comunità. «Abbiamo esordito con tantissimo entusiasmo, ma anche con molte ansie, lanciandoci con una versione beta e aprendo il confronto su un tema chiave come le proposte di Riforma Costituzionali», spiega Adolfo Frediani, project manager di Fondazione <Ahref. «E, nonostante fosse un esordio assoluto, ha funzionato». Un battesimo del fuoco che ha dimostrato, su una tematica pur così complicata e aperta potenziali “divagazioni”, che le regole che governano la piattaforma e la partecipazione collaborativa sono chiare, sono immediatamente comprese, e consentono di costruire dialogo «senza generare quel “rumore” generato da chi spesso partecipa ai forum di discussione solo perché ha del tempo da perdere. Qui, invece, si entra e si porta il proprio contributo di idee, ma per costruire», chiarisce Frediani, elencando le “regole di ingaggio” della piattaforma: ogni utente può partecipare portando un solo commento per ogni proposta, evitando così “l’effetto replica” in cui si avvitano i forum; è possibile allegare documentazione a supporto del proprio contributo; al momento del login è richiesta una sorta di autocertificazione dei criteri di comportamento, «il che allunga un po’ i tempi di login», spiega Frediani, «ma è già un’assunzione di responsabilità e di serietà da parte dell’utente».  
È su questo strumento, e grazie ai consigli e all’esperienza dello staff di Civici, che Vita ha deciso di mettere in condivisione e aprire alla discussione e al contributo ideale di tutti “InMovimento”la piattaforma di attivazione civica – incardinata su sette verbi chiave – che chiama a ridefinire, insieme, i termini dell’impegno per la costruzione del bene comune. Sette temi, dunque, che danno la possibilità a ogni utente di contribuire al dibattito portando sette idee  sette innovative visioni del futuro.  «La Piattaforma di temi di attivazione che Vita propone è una bella sfida per la piattaforma Civici», sottolinea Frediani, «perché ci consente, in un certo senso, di sperimentarne a fondo le potenzialità del sistema. Vengono rimessi alla discussione degli utenti più temi, su più aree di dibattito diverso, dove anche la possibilità di apportare contributi, allegare documenti e buone pratiche è molto ampia. Consente anche a noi, insomma, di metterci "in movimento"».
Da parte di Vita, sottolinea il presidente Riccardo Bonacina, “Ci aspettiamo un contributo vero e consapevole da parte di cittadini e organizzazioni per precisare e dare più sostanza alla Piattaforma civica che noi abbiamo solo abbozzato con l'aiuto del nostro Comitato editoriale (64 organizzazioni di Terzo settore ndr) incardinandola intorno a sette verbi: educare, donare, produrre, cooperare, lavorare, curare e recuperare. Con l'obiettivo, dichiarato dallo stesso manifesto, quello diriconvocare il mondo che raccontiamo da ormai 20 anni, quello dell’Italia che s’ingaggia per il cambiamento e la risposta ai bisogni. Il nostro impegno personale e quello delle nostre organizzazioni, in questi anni, sono innanzitutto modi di esercitare la cittadinanza, sono una forma attiva di partecipazione alla  costruzione del bene comune e dell’interesse generale. Per il cambiamento di questo Paese  e dei luoghi  in cui viviamo, per farla finita con l’autoreferenzialità, per smettere di lamentarsi e praticare la sola rivoluzione che cambia, quella della positività e delle esperienze. Il Terzo settore è nato con la voglia di cambiare il mondo, non per difendere se stesso, ma per cambiare la realtà e le cose, le relazioni tra i viventi. Da qui vogliamo ripartire rimettendoci Inmovimento”.
Per aderire: inmovimento@vita.it
Per partecipare al dibattito e alla composizione della piattaforma civica, anche tramite l’invio di materiali: http://inmovimento.civi.ci/


lunedì 24 marzo 2014

24 marzo : Giornata mondiale dell'Acqua 2014

24 marzo : Giornata mondiale dell'Acqua 2014

L’acqua è fonte di vita. Senza acqua non c’è vita.
La risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel luglio 2010 ha sancito che l’accesso all’acqua potabile ed ai servizi igienico-sanitari è un diritto umano, cioé universale, indivisibile ed imprescrittibile. Gli Stati nazionali hanno il dovere di assicurare acqua di buona qualità, accessibile ad una distanza ragionevole dalla propria casa. La effettiva concretizzazione del diritto umano all’acqua costituisce la grande sfida a cui tutti i Parlamenti nazionali e la comunità internazionale devono dare, in tempi brevi, una risposta concreta.
L’Italia è stata tra i Paesi che hanno votato la risoluzione ONU e pertanto compete al Parlamento italiano coerentemente con questo atto politico concretizzare il diritto umano all’acqua per tutti con una legislazione che sancisca il recepimento del principio sancito da questa risoluzione.
Il diritto all’acqua è un diritto inalienabile: dunque l’acqua non può essere proprietà di nessuno, bensì bene condiviso equamente da tutti.
In funzione, di crescenti livelli di povertà e difficoltà economiche da parte di alcune fasce sociali a pagare le tariffe dell’acqua, è urgente dotare il nostro Paese di una legge nazionale che sancisca e garantisca il diritto ad una quantità minima di acqua potabile e che contenga norme per garantire l’accesso all’acqua anche nelle aree più povere del mondo.
Oggi sulla Terra oltre un miliardo e cinquecento milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile. Si prevede che nel giro di pochi anni tale numero raggiunga i tre miliardi. Il principale responsabile di tutto ciò è il modello neoliberista che ha prodotto una enorme disuguaglianza nell’accesso all’acqua, generando oltretutto una sempre maggior scarsità di quest’ultima, a causa di modi di produzione distruttivi dell’ecosistema.
L’acqua è fonte di vita per tutte le specie viventi e per il buon funzionamento degli ecosistemi del Pianeta.
L’acqua costituisce pertanto un bene comune dell’umanità, un bene irrinunciabile e che appartiene a tutti.
L'acqua, non può essere annoverata - anche in ossequio della volontà popolare espressa dai cittadini nel referendum del Giugno 2011 - tra le “commodity” perché l’acqua non è una merce. E’ necessario, pertanto, dotare il nostro paese di un quadro legislativo nazionale che sancisca la natura pubblica del “servizio idrico integrato (SII)” e lo sottragga dai servizi pubblici locali di rilevanza economica (SIEG).
Il mantenimento del servizio idrico fra quelli a “rilevanza economica” conferma la natura di “commodity” dell’acqua e comporta l’assoggettamento del SII alle regole del mercato, quindi della concorrenza. A riguardo è opportuno rilevare che la Commissione Europea ha recepito queste istanze. Infatti l'accordo sulle nuove norme UE per le concessioni ricorda che gli Stati membri restano liberi di decidere come desiderino siano eseguiti i lavori pubblici o erogati i servizi - in house o esternalizzandoli a società private. La nuova direttiva "non impone la privatizzazione delle imprese pubbliche che forniscono servizi al pubblico", aggiunge il testo. Inoltre, i deputati hanno riconosciuto la particolare natura dell'acqua come un bene pubblico, accettandone l'esclusione dal campo di applicazione delle nuove regole.
Per funzionare correttamente ogni società ha bisogno di “possedere”, promuovere e “governare” insieme una serie di beni e servizi comuni pubblici. L’acqua è anzitutto un sistema locale di vita. La gestione pubblica e partecipata del servizio idrico a tutela dell’acqua come “bene comune” significa adottare una nuova “economia” (“regole della casa”), cioè rilanciare il ruolo delle città e la partecipazione dei cittadini.
Per questo affermiamo che arrestare i processi di privatizzazione dell’acqua assume, nel XXI secolo, sempre più le caratteristiche di un problema di civiltà, che chiama in causa politici e cittadini, che chiede a ciascuno di valutare i propri atti, assumendosene la responsabilità rispetto alle generazioni viventi e future.
Le lotte per il riconoscimento e la difesa dell’acqua come bene comune hanno acquisito in questi anni una rilevanza e una diffusione senza precedenti, assumendo anche nuovi significati ed approfondimenti.
Da una parte, le lotte contro la privatizzazione e per il diritto d’accesso all’acqua e alle risorse naturali sono state il motore di cambiamenti sociali e politici epocali in diversi continenti, a partire dall’America Latina dove paesi come l’Uruguay, la Bolivia, il Venezuela e l’Ecuador, hanno rescisso i contratti con le grandi multinazionali e inserito nelle proprie Costituzioni l’acqua come diritto umano universale e la gestione partecipativa e comunitaria del servizio idrico.
Dall’altra si deve considerare che anche in Europa, diverse città hanno intrapreso processi di ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico. La città di Parigi nel 2010 ha portato a termine il processo di ripubblicizzazione dell’acqua liquidando 25 anni di gestione in mano a Suez e Veolia, le due più grandi multinazionali dell’acqua, sconfitte nel cuore del loro impero. Percorso simile è stato seguito a Berlino dove ad inizio 2011 si è svolto un referendum cittadino in cui è prevalsa la posizione a favore di un ritorno alla gestione pubblica dell'acqua. Attualmente l'amministrazione municipale ha avviato la procedura per la riacquisizione delle quote di proprietà del partner privato Veolia. Più in generale le lotte per l’accesso all’acqua tendono sempre più a divenire strumento di costruzione di pace contro la guerra globale, oggi sempre più determinata dalla competizione per il controllo delle risorse naturali strategiche, di cui l’acqua è la più importante.
Anche nel nostro Paese l’importanza della questione acqua ha raggiunto nel tempo una forte consapevolezza sociale e una capillare diffusione territoriale, aggregando culture ed esperienze differenti e facendo divenire la battaglia per l’acqua il paradigma di un altro modello di società.
E’ un percorso che parte da lontano. Nel 2003, dichiarato dall’ONU Anno mondiale dell’acqua, proprio a Firenze si svolse il Forum Mondiale Alternativo dell’Acqua che, ispirandosi al concetto di acqua come bene comune necessario alla vita, bocciò le politiche fondate sulla trasformazione dell’acqua in merce.
Da allora sono state decine e decine le vertenze che si sono aperte nei territori contro la privatizzazione dell’acqua e per un nuovo governo pubblico e partecipato della stessa.
La necessità di mettere in rete e collegare fra loro queste diverse esperienze, unita alla consapevolezza che per poter produrre un cambiamento effettivo occorreva costruire sull’acqua una vertenza di dimensione nazionale, sono state il terreno di coltura che ha permesso nel marzo 2006 la nascita del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, una rete costituita da centinaia di comitati territoriali e decine di reti nazionali, associative, sindacali e politiche.


La mobilitazione sociale a favore di una gestione pubblica e partecipativa dell'acqua è proseguita in tutti questi anni e ha registrato un passaggio fondamentale il 12 e 13 Giugno 2011, quando i referendum hanno di nuovo raggiunto il quorum e sono tornati ad essere lo strumento di democrazia diretta che la Costituzione garantisce. La maggioranza assoluta delle italiane e degli italiani ha votato Sì ai due referendum per l'acqua bene comune: oltre il 95% dei votanti si è espresso dunque in favore della fuoriuscita dell'acqua da una logica di mercato e di profitto.

La straordinaria partecipazione alla campagna referendaria e il fatto che circa 27 milioni di cittadine e cittadini abbiano votato il 12 e 13 giugno sono il segnale di quanto il tema dell'acqua abbia suscitato interesse nell'opinione pubblica.
Inoltre la vittoria dei Sì per oltre il 95% indica quale sia la strada da percorrere e crediamo che la legge d'iniziativa popolare in oggetto sia assolutamente conseguente all'espressione della volontà popolare.
La proposta di legge presentata risponde, quindi, all'urgenza di dotare il nostro paese di un quadro legislativo unitario rispetto al governo delle risorse idriche come bene comune, introducendo modelli di gestione pubblica e partecipata del servizio idrico in attuazione dell’esito referendario.

Le finalità sottostanti la proposta di legge possono essere cosi sintetizzati:
  • Sancire il riconoscimento del diritto all’acqua come diritto umano universale da garantire ad ogni cittadino stabilendo una quantità minima garantita a carico della fiscalità generale.
  • Tutelare il patrimonio idrico come bene comune pubblico inalienabile, a tutela delle future generazioni, e gestito al di fuori delle regole del mercato e sotto la competenza di un unico organo politico (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare).
  • Salvaguardare le risorse idriche come bene comune pubblico indispensabile per tutte le specie viventi e l’ecosistema.
  • Introdurre Piani di gestione e tutela delle acque, a livello di distretti idrografici (ciclo idrologico) finalizzati ad un governo delle relazioni tra acqua, agricoltura/cibo, salute ed energia.
  • Istituire forme/metodi di informazione consultazione preventiva dei cittadini rispetto alle decisioni.
  • Classificare il servizio idrico, inteso quale insieme delle attività di captazione, adduzione e distribuzione di acqua a usi civili, fognatura e depurazione delle acque reflue, come servizio pubblico locale di interesse generale, privo di rilevanza economica.
  • Definire che la gestione del servizio idrico integrato può essere affidato esclusivamente ad Enti di diritto pubblico.
  • Adottare i bacini idrografici come unità di pianificazione territoriali dell’acqua come bene comune.
  • Introdurre criteri per il finanziamento del diritto all’acqua ed attraverso la tariffa l’accesso ad un uso responsabile delle risorse idriche e definire le modalità di finanziamento del servizio idrico integrato attraverso la fiscalità generale, specifica, finanza pubblica e la tariffa.
  • Identificare alcune fonti di finanziamento a sostegno dei processi di ripublicizzazione.
  • Adottare strumenti di finanziamento finalizzati a garantire l’accesso all’acqua nelle aree più povere del pianeta attraverso progetti di cooperazione e solidarietà internazionale.
A cura della Redazione. 


venerdì 21 marzo 2014

Addio capitalismo, beni comuni e non profit ti seppelliranno


Il celebre economista no global affida al New York Times le sue previsioni su un mondo in cui l'economia basata sul profitto sarà sempre più marginale. Anche oggi sempre più persone grazie alla tecnologia accedono gratis a beni e servizi, e in futuro anche agli oggetti, grazie a un Internet dedicato alle cose. E nella nuova economia, il non profit sarà leader




Un “gratis” seppellirà il capitalismo. Parte da qui la tesi esposta da Jeremy Rifkin in un interessante articolo comparso sul New York Times, in cui il celebre economista autore del recente The Zero Marginal Cost Society  preconizza la fine del capitalismo e l’avvento dell’era dei beni comuni, grazie a una nuova, gigantesca rete: l’Internet degli oggetti. 
Molti beni e servizi – osserva Rifkin – nella società sviluppata stanno diventando gratuiti o quasi, anche grazie allo sviluppo delle tecnologie: basti pensare alla musica, o all’informazione, o anche alle comunicazioni. Ma anche al settore manifatturiero (quante persone realizzano oggetti di uso comune da sé?), all’istruzione (si pensi ai corsi universitari online), all’energia. Una riduzione del margine era stata prevista dagli economisti, ma non la loro discesa fin quasi a zero no. Quali conseguenze potrà avere questo fenomeno di esclusione, o meglio bypass, del mercato sul futuro del capitalismo?
Certo, non tutti gli osservatori ammettono che il fenomeno esiste, continua Rifkin. Alcuni sostengono che ci sarà sempre chi è disposto a pagare per avere un servizio più efficiente e di qualità, e i beni di fascia alta garantiranno sufficienti margini per mantenere in vita il sistema. Ma Rifkin insiste:l’economia a costo zero esiste, e si espanderà sempre più, riguardando l’intera economia, grazie a una rivoluzione che è già iniziata e presto ci invaderà: l’Internet degli oggetti.
Questa “formidabile nuova infrastruttura tecnologica” è una piattaforma tecnologica che sta cominciando a collegare tutto e tutti: già oggi oltre 11 miliardi di sensori – scrive Rifkin - sono collegati a risorse naturali, linee di produzione, rete elettrica, reti logistiche e flussi di riciclaggio e si trovano nelle case , uffici, negozi e veicoli, alimentando la rete. Ed entro il 2020 si prevede che almeno 50 miliardi di sensori potranno connettersi tra loro.
Lo scenario delineato è futuribile: “Chiunque potrà connettersi alla rete e utilizzare I grandi numeri, le analisi e gli algoritmi necessary ad aumentare l’efficienza e abbassare i costi della produzione e condivisione di una vasta gamma di prodotti e servizi a costo zero, esattamente come oggi già facciamo con le informazioni”. Cisco prevede che entro il 2022  i guadagni in termini di  produttività del settore privato servito dall’Internet degli oggetti supererà i 14mila miliardi dollari, e uno studio di General Electric stima che i progressi di produttività di questa rete potrebbero influenzare la metà dell'economia globale entro il 2025.
A questo punto la domanda è: come sarà questa economia del futuro, quando milioni di persone saranno in grado di creare e di beni e servizi e condividerli quasi gratis? La risposta per Rifkin sta nella società civile, “composta di organizzazioni non profit che si occupano di ciò che facciamo e condividiamo come comunità. In termini monetari, il non profit è una potenza. I profitti del settore sono cresciuti del 41% dal 2000 al 2010, ovvero più del doppio del Pil americano, che è aumentato solo del 16,4% nello stesso decennio. Nel 2012 il non profit USA rappresentava il 5,5% del Pil”.
Collaborazione, accesso universale e inclusione: sono queste dunque le parole d’ordine che potranno creare l’economia del futuro, fatta di capitale sociale, accanto al mercato capitalistico. Un mercato di cui già si vedono le prime avvisaglie in fenomeni come il car sharing, di cui usufruiscono 1,7 milioni di persone nel mondo; milioni di persone utilizzano i social media , le reti di ridistribuzione e le cooperative per condividere non solo auto ma anche case, vestiti, utensili , giocattoli e altri articoli a costo marginale basso o vicino allo zero. L' economia della condivisione ha prodotto ricavi per 3,5 miliardi nel 2013. E ancora: negli Stati Uniti, il numero delle organizzazioni non profit è cresciuto di circa il 25% tra il 2001 e il 2011, passando da 1,3 a 1,6 milioni, mentre le imprese a scopo di lucro sono aumentate dello 0,5%. Negli Stati Uniti , Canada e Gran Bretagna l'occupazione nel settore non profit supera attualmente il 10% della forza lavoro .
Nonostante questa crescita impressionante, molti economisti sostengono che il settore non profit non è una forza economica autosufficiente, ma un parassita che si nutre di concessioni statali e filantropia privata”, scrive ancora l’economista, “mentre è esattamente il contrario. Un recente studio ha rivelato che circa il 50% del fatturato complessivo dei settori non profit di 34 paesi proviene dai cittadini che usufruiscono dei servizi, solo il 36% da contributi pubblici e il 14% da filantropia privata”.
E’ probabile che il sistema capitalista rimarrà con noi anche in futuro”, conclude Rifkin, “anche se con un ruolo più snello, di aggregatore di servizi e soluzioni di rete, e lì, in questa nicchia, potrà anche prosperare. Stiamo però entrando in un mondo al di là dei mercati, fatto di beni comuni globali, dove impareremo a vivere insieme in modo sempre più interdipendente e collaborativo”.

di Gabriella Meroni – da Vita.it



martedì 18 marzo 2014

La costruzione sociale della donna


Per la settimana dedicata al mondo femminile, concludiamo con un articolo dedicata alla costruzione sociale della donna in alcuni paesi del mondo


L’identità è la questione “all’ordine del giorno” (Bauman).

Gli uomini e le donne sono, è ovvio, diversi. Ma non sono così diversi come il giorno e la notte, lo yin e lo yang, la vita e la morte. Dal punto di vista della natura, gli uomini e le donne sono più simili gli uni alle altre che a qualsiasi altra cosa – alle montagne, ai canguri o alle palme da cocco. L’idea che siano diversi tra loro, più di quanto ciascuno di essi lo è da qualsiasi altra cosa, deve derivare da un motivo che non ha niente a che fare con la natura. Il rapporto tra sesso e genere varia a seconda delle aree geografiche, dei periodi storici, dalle culture di appartenenza. I concetti di maschile e femminile sono concetti dinamici che devono essere storicizzati e contestualizzati. Ogni società definisce quali valori additare alle varie identità di genere, in cosa consiste essere uomo o donna. Uomo e donna sono quindi concetti relativi. Lo scopo di questo articolo è portare tre esempi significativi per mettere in evidenza come una data società possa costruire un dato modello femminile.

Loto D’oro
Il termine “Loto d’oro” deriva probabilmente dall’andatura oscillante che assumevano le donne, sottoposte a tale “pratica”, mentre camminavano, per via dei piedi che arrivavano a misurare una lunghezza tra i 7 e i 12 centimetri. Per arrivare alla forma desiderata i piedi venivano tenuti fasciati per un periodo di tempo variabile da 3 a 10 anni, prima piegando dal secondo al quinto dito (lasciando quindi l’alluce disteso) e in un secondo tempo avvicinando il “ditone” ed il tallone inarcando il collo del piede. In questo modo avveniva una deformazione delle ossa metatarsali e delle articolazioni.
Le immagini erotiche del periodo Sung e dei periodi successivi rappresentano le donne completamente nude, con la vulva evidenziata in ogni particolare, ma non ho mai visto nè ho mai letto di un’immagine che rappresentasse nudi i piedi normalmente fasciati di una donna. Questa parte del corpo femminile era assolutamente tabù. Così in Cina, molte ragazze si sono, in passato, “volontariamente”  fasciate i piedi per conquistarsi un matrimonio prestigioso o per diventare la favorita tra le concubine. Così il dolore è un prezzo necessario per diventare “donne desiderabili”.  In questa prospettiva, la fasciatura dei piedi è stata successivamente letta soprattutto come un dispositivo atto a garantire e preservare la castità femminile. In Cina, la castità, intesa in particolare come fedeltà della moglie al marito e alla famiglia di lui in caso di vedovanza, costituiva la virtù femminile per eccellenza nella cultura confuciana dominante. In ultimo, la pratica fu abolita ufficialmente da un decreto imperiale del 1902, ma ci vollero 50 anni affinché la pratica scomparisse gradualmente. Quando gli uomini cominciarono a preferire i piedi grandi, per le donne con i piedi fasciati fu una seconda tragedia, perché videro vanificati anni di sofferenze e aspettative.

The Women Who Live as Men “Sworn Virgin”
Il fenomeno delle “sworn virgin tra le catene montuse del Nord Albania, come studio socio – culturale e antropologico, è riuscito a raggiungere il pubblico soprattutto dopo la pubblicazione del meraviglioso libro dell’antropologa Antonia Young, “Women Who Become Men: Albanian Sworn Virigina “, essendo anche riuscita ad intervistarle direttamente.
Ardiana ZenuniIl soggetto con sembianze da uomo nelle foto, in realtà è donna, che in mancanza di un erede maschio in famiglia o per evitare di sposare l’uomo a cui la famiglia l’aveva promessa, ha deciso di abbandonare la propria “femminilità”, e vivere da “celibe” come uomo “onorevole” fino alla fine della sua vita.
Attraverso l’atto del “giuramento” che non si sarebbe mai sposata, privava se stessa di tante soddisfazioni e si trovava anche a dover cambiare il proprio stato sociale. Prendeva un nome da maschio, si vestiva da maschio, si muoveva e gesticolava da uomo finchè anche la società e l’ambiente che la circondava non la riconosceva come tale. L’autrice però si interessa maggiormente del mondo interiore di questa creatura. Essa infatti cambia solo il proprio  stato sociale, il suo genere resta immutato poiché continua ad avere i sentimenti di una donna. L’autrice è proprio curiosa di sapere riguardo al rapporto della vergine con i membri del genere opposto e quelli del suo stesso genere, dato che lei si ritrova ad averne due, uno interiore ed uno esteriore. Dalle conversazioni che tiene con le vergini, conversazioni che riesce ad ottenere con non poche difficoltà e solo con alcune di loro, arriva alla conclusione che in queste zone vigono regole molto severe sull’onore, sulla fiducia (promessa, parola data), ospitalità e vendetta, per cui il disonore e le perversioni sessuali sono sentimenti sconosciuti. Mentre in altre società il cambiamento di sesso dovuto a motivi interiori dell’individuo  e viene visto negativamente ( solitamente le modifiche sono trasformazioni da uomo a donna e vengono realizzati attraverso interventi chirurgici), in quella caso l’individuo si sacrifica per la società; la trasformazione era sempre da donna a uomo, dovuta forse ad una società di tipo patriarcale dove essere uomo veniva visto come un privilegio.

Geisha
 “Noi non diventiamo geishe per perseguire il nostro destino… noi diventiamo geishe perché non abbiamo scelta” sono le parole di Mameha (Memorie di una geisha)Entriamo in un mondo in cui le apparenze sono di primaria importanza, dove la verginità di una ragazza è all’asta al miglior offerente, dove si formano le donne per ingannare gli uomini più potenti, e dove l’amore è un’illusione disprezzata. Si tratta di un lavoro unico e trionfante della fiction – in una volta romantico, erotico, e di suspense – e completamente indimenticabile. Geisha non si nasce, si diventa! Vendute o abbandonate a 3-4 anni dalle loro famiglie vivono nelle Okiya, case giapponesi tradizionali, governate da una donna anziana, spesso una geisha ormai ritirata dalla professione. Per un uomo la Geisha può essere solo una moglie a metà: sono le mogli del crepuscolo. Tra il danna (la parola danna in giapponese significa padrone, ma in relazione con la geisha questo termine significa cliente-marito) e la geisha si crea sovente un rapporto particolare, che può sfociare anche in relazioni durature e figli. Capita a volte che una geisha si innamori (anche se non dovrebbe farlo) e decida di sposarsi, abbandonando la professione e magari diventando insegnante di danza o di  shamisen  (Lo Shamisen è uno strumento musicale giapponese a tre corde).
Nel moderno Giappone è raro vedere geisha e maiko all’esterno del loro hanamachi. Nel 1920, infatti, c’erano più di 80.000 geisha in tutto il Giappone, ma oggi sono molte meno; il numero esatto non è noto se non alle geisha stesse (che sono molto protettive nei confronti del mistero che, anche nello stesso Giappone, aleggia attorno alla loro figura), ma si stima non siano più di un paio di migliaia. Molte di loro, inoltre, sono ormai quasi solamente un’attrazione turistica.

La celebre frase di De Beauvoir “Donna non si nasce, lo si diventa” mette a nudo la costruzione sociale della differenza discriminante.

Note:
La costruzione sociale del femminile e del maschile, Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno – Bologna, 1996.
La vita sessuale nell’antica Cina, R. H. Van Gulik, 1987.
Women Who Become Men: Albanian Sworn Virigina, Antonia Young, 2000.
Memorie di una geisha (Memoirs of a Geisha), Arthur Golden, 1997.
Foto: “sworn virgin”.
Ardiana Zenuni - studentessa Compass


giovedì 13 marzo 2014

Per la settimana dedicata al mondo femminile: un libro "Dalla parte delle Bambine" di E. G. Belotti

"Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita" è un libro pubblicato nel 1973. Il volume che vogliamo consigliare per iniziare ad approfondire temi legati al mondo femminile, è forse un po' datato, ma i contenuti sui condizionamenti sociali della donna sono ancora molto attuali e ci ricordano che ancora molto dovrà essere fatto. Il saggio è stato scritto da Elena Gianini Belotti, un’insegnante che ha scelto di “osservare” l’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita. In particolare, osservando il bambino dalla nascita in poi, l’autrice analizza il comportamento degli adulti nei suoi riguardi, i rapporti che essi stabiliscono con lui nel corso delle varie età, il modo in cui essi si pongono, le aspettative che si creano nei confronti del piccolo per il fatto di appartenere a un sesso piuttosto che a un altro. Passa in rassegna, altresì, gli sforzi che il bambino fa per adeguarsi a tali aspettative e i rifiuti o le gratificazioni che riceve a seconda che esaudisca o meno le richieste ricevute.
La ricerca, condotta nei luoghi primari dell’esistenza infantile, ossia la famiglia e la scuola, rivela che le differenze di genere risiedono in piccoli gesti quotidiani, così abituali da passare inosservati, in reazioni automatiche di cui ci sfuggono origini e scopi e che ripetiamo in forma stereotipata e in modo interiorizzato nel corso del processo educativo. A partire dall’attesa del figlio, quando l’interrogativo primario attiene al sesso del nascituro, che, una volta conosciuto, determina tutta una serie di “preparativi” identificati da un inequivocabile colore. Il rosa e il celeste, ricorda l’autrice, altro non sono se non il risultato di un “processo di attribuzione” che di biologico non ha praticamente nulla.
Passando attraverso l’analisi delle differenze di genere nei giochi, nei gruppi che si creano a scuola e persino nella letteratura infantile, l’autrice giunge inevitabilmente a confermare il mito della “naturale” superiorità maschile contrapposta alla “naturale” inferiorità femminile. Compie la sua analisi da un’ottica prevalentemente critica nei confronti delle donne, ma senza mai muovere alcuna accusa. Il suo è soprattutto un tentativo di rendere palesi i condizionamenti subìti, spingendo verso la presa di coscienza che modificarli è possibile.
L’operazione da compiere, che ci riguarda tutti ma soprattutto le donne perché ad esse è affidata l’educazione dei bambini […] è di restituire ad ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene” (p.8).
Finché le origini innate di certi comportamenti differenziati secondo il sesso restano un’ipotesi, l’ipotesi opposta che siano invece frutto dei condizionamenti sociali e culturali cui i bambini vengono sottoposti sin dalla nascita rimane altrettanto valida […]. Non è in potere di nessuno modificare le eventuali cause biologiche innate, ma può essere in nostro potere modificare le evidenti cause sociali e culturali delle differenze tra i sessi”


martedì 11 marzo 2014

Stalking: non chiamatelo amore

Relazione della dott.ssa Francesca Filice al convegno " Stalking: non chiamatelo amore"

Con il termine “stalking” – sindrome delle molestie assillanti- si intende un insieme di comportamenti tramite i quali una persona affligge un’altra con intrusioni e comunicazioni ripetute e indesiderate, a tal punto da provocargli ansia o paura.
Lo stalking rappresenta un fenomeno relativamente nuovo in quanto i comportamenti che lo costituiscono sono stati riunificati e classificati sotto questa denominazione solo a partire dagli anni Novanta del XX secolo, in seguito ad alcuni episodi di atti persecutori perpetrati da fan squilibrati ai danni di personaggi famosi.
Nel corso degli ultimi vent’anni il fenomeno ha raggiunto un’estensione dilagante: la proliferazione di leggi anti-stalking prima in alcuni Stati federali degli USA poi nel resto del mondo anglosassone ed europeo, la quantità dei casi discussi in tribunale, gli studi accademici, le ricerche empiriche e l’attenzione da parte dei media fanno entrare lo stalking nel linguaggio quotidiano mentre risulta evidente che non si tratta di un crimine che coinvolge solo le celebrità ma di un modello di persecuzione e ossessione che riguarda piuttosto la gente comune.
Contemporaneamente agli studi in ambito forense e agli interventi di carattere legislativo anche in ambito clinico e sociale si sono sviluppati diversi filoni di ricerca. Mentre i primi studi si sono concentrati sulle tipologie comportamentali del molestatore-persecutore, altre ricerche hanno messo in evidenza l’impatto socio-psicologico dello stalking sulle vittime, altre ancora, le più recenti, hanno avuto come focus d’attenzione le misure terapeutiche per il recupero non solo della vittima di stalking ma anche dello stalker

La progressione dinamica dello Stalking

Lo Stalking è una persecuzione e una violenza, ma è anche e soprattutto una situazione conflittuale estrema. Se partiamo da questo punto di vista, allora possiamo dedurre logicamente che anche lo Stalking possiede le peculiarità di tutti i conflitti, prima fra tutte la caratteristica di non essere fissa e stabile, bensí di subire una costante evoluzione dinamica. Lo Stalking non nasce per caso, cambia aspetto nel tempo e tende a uno scopo, progredisce secondo fasi successive e relativamente prevedibili, inquadrabili in un modello teorico di sviluppo a 4 fasi.

Fase I: Relazione conflittuale
Lo Stalking non nasce per caso, ma è sempre in qualche modo motivato. In tutti i casi è individuabile a monte una relazione emotiva conflittuale tra stalker e vittima: un legame precedente interrotto o terminato per qualche ragione (solitamente per decisione della vittima) oppure un rapporto intensamente desiderato dallo stalker ma non accettato dalla vittima. Ciò implica che il molestatore conosce sempre piuttosto bene la sua vittima, vuoi per la storia precedente che li accomuna, vuoi perché per lo stalker è essenziale accumulare quante più informazioni possibili sulla sua vittima
Fase II: Azioni persecutorie e continuative (Stalking)
Questa fase avviene come diretta conseguenza della precedente. Da parte dello stalker la relazione conflittuale iniziale è chiaramente disturbata: il rifiuto della vittima, la sua inaccessibilità o l'impossibilità di colpirla efficacemente lo rendono frustrato; egli vive la situazione come penalizzante ed ingiusta; sempre di più la sua incapacità di realizzare le sue intenzioni verso la vittima assume per lui i contorni di una sconfitta personale da cui sente il bisogno impellente di riscattarsi. (Spesso infatti lo stalker ha una percezione distorta e paradossale di se stesso come reale vittima della situazione e questo lo porta ad intensificare ulteriormente il suo perverso desiderio di giustizia o di vendetta).
Quando questo grumo di emozioni intense accumulate nella mente ormai perversa dello stalker scoppia, il molestatore passa dalle intenzioni all'azione: azioni ostili, con una frequenza almeno settimanale e con durata superiore a tre mesi. A questo punto inizia dunque la seconda fase del modello, che coincide con l'azione di Stalking vera e propria.

Fase III: Conseguenze psico-fisiche della vittima
Il manifestarsi di un disagio psicosomatico nella vittima come conseguenza alla pressione è infatti un'altra caratteristica tipica di tutti i conflitti. I sintomi che la vittima di Stalking manifesta sono: insonnia, ansia, perdita dell'appetito o bulimia nervosa, irritabilità, ritiro sociale, crollo dell'autostima, etc. Inizialmente si tratta di occasionali segnali d'allarme che il corpo manda nei momenti in cui la pressione supera il limite della sopportabilità. Il grado di remissione è inversamente proporzionale alla durata della persecuzione: più essa è breve e più il recupero sarà veloce e completo. Se invece lo Stalking prosegue ed aumenta di intensità, anche i sintomi tenderanno a cronicizzarsi e a portare a vere e proprie patologie.

Fase IV: Scontro finale
Non è raro che lo Stalking abbia una conclusione tragica. Con il tempo lo stalker può diventare davvero pericoloso: nella sua mente si può innescare un meccanismo perverso di frustrazione e successivo stimolo di rivalsa che può portarlo ad essere perennemente insoddisfatto delle sue azioni e quindi ad intensificarne costantemente il contenuto e le modalità di esecuzione. Anche la vittima, d'altra parte, può giungere ad un livello di esasperazione tale da perdere i freni inibitori e trasformarsi essa stessa in strumento di vendetta contro il suo carnefice. Di solito e per fortuna, tuttavia, lo scontro fisico e l'epilogo distruttivo restano per i protagonisti di una vicenda di Stalking a livello esclusivamente mentale ed ideativo. Così, il più delle volte l'ultima fase della persecuzione è costituita da una denuncia penale o da uno scontro legale.

CONSEGUENZE DEL CONFLITTO Per la vittima
A) Danni alla salute
Vari e diversi sono i disturbi che una vittima di Stalking può accusare. I più comuni sono: agitazione, tensione, nervosismo, angoscia, tristezza, impotenza, frustrazione. Possono presentarsi anche sintomi psicosomatici quali insonnia, problemi digestivi, mal di testa, dolori muscolari, stanchezza, svenimenti, attacchi di panico, mentre a volte si registra un aggravamento anche consistente di una patologia preesistente (per esempio l'ipertensione, la gastrite, il diabete). Per combattere il malessere la vittima di solito ricorre a farmaci, terapie, visite, con grande dispendio di energie, tempo e denaro. Se i sintomi persistono nel tempo e si presentano con regolarità e gravità, possono dar luogo a vere e proprie patologiche psichiatriche (Ansia, Depressione, Disturbo Post Traumatico da stress)

B) Danni psicologici ed esistenziali
Al di là del danno alla salute, c'è un altro ambito in cui la vittima di un conflitto organizzati subisce lesioni anche gravissime, a volte persino irrimediabili: si tratta del contesto cosiddetto psicologicoesistenziale, ossia tutto quello che riguarda le modificazioni peggiorative più o meno gravi della qualità di vita, delle modalità di relazione sociale ed affettiva, delle abitudini e dei comportamenti, degli interessi personali ed extralavorativi.
Esprimersi liberamente come persona, provare soddisfazione nelle proprie attività quotidiane, in una parola, avere la capacità e la possibilità di godere appieno della propria vita. In caso di Stalking, la vittima può subire anche danni più immediati e pratici. A livello privato e personale il perseguitato, nel tentativo di liberarsi del persecutore, può essere costretto a cambiare il numero di telefono e di indirizzo di posta elettronica, se non addirittura a lasciare la propria casa ed il proprio lavoro per trasferirsi in un'altra città.
Le vittime di una persecuzione, sono poi quasi sempre costrette a cambiare vita e abitudini, e di solito non certo in meglio: per esempio non possono più dedicarsi liberamente a certe attività per loro gratificanti come lo shopping, il divertimento, lo sport, le vacanze, etc (spesso non hanno nemmeno più la capacità interiore di farlo perché oppresse dall'ansia e dalla depressione). Può capitare anche che cambino le loro abitudini ed i loro comportamenti, che diventino sospettose, irritabili, aggressive, che perdano affetti ed amicizie, che siano costrette a troncare relazioni sentimentali, che per paura limitino drasticamente la loro vita sociale evitando di vedere parenti, figli o genitori, col risultato di dar luogo ad incomprensioni, risentimenti, conflitti relazionali.
L’incremento significativo di comportamenti, azioni e atteggiamenti riconducibili al concetto di stalking è connesso a particolari cambiamenti della società contemporanea. Ci possiamo chiedere come si è giunti – nella maggior parte dei Paesi avanzati – a definire e sanzionare come reato dei comportamenti il cui fastidio un tempo veniva generalmente tollerato e semmai contrastato con altre modalità. Si possano individuare tre passaggi cruciali:
l’effettivo incremento delle condotte persecutorie determinato dalla crisi delle relazioni interpersonali (specialmente affettive e di coppia) che senza dubbio contraddistingue le società post-industriali, in presenza di strumenti tecnologici di uso comune che rendono assai semplice porre in essere contatti diretti a distanza mantenendo l’anonimato; Per quanto riguarda il primo, le analisi sono concordi nel riconoscere nello stalking un vero e proprio problema di carattere intersoggettivo, in cui risulta fondamentale l’esame delle dinamiche di tipo relazionale e comunicativo tra persecutore e vittima, che stanno alla base di tale realtà. A questo proposito può risultare utile una riflessione generale sul carattere dei rapporti interpersonali che si instaurano nella nostra società, contraddistinti dalla temporaneità e dalla provvisorietà delle relazioni intersoggettive. Se i legami duraturi e stabili stanno divenendo un’eccezione – a fronte della regola dei rapporti transitori e poco impegnativi – ne consegue, fra l’altro, un’instabilità sentimentale, che determina frequenti e repentine rotture dei rapporti, potenzialmente pericolose. Infatti, la scelta unilaterale di troncare un legame pone colui che decide di allontanarsi in una situazione di possibile rischio: chi subisce la fine del rapporto prova un senso di smarrimento, che potrebbe tramutarsi in ira e frustrazione e, d’altro canto, l’ex partner è segnato dal sentimento di colpa.

rispetto al passato, la maggior consapevolezza e determinazione delle vittime (che sono soprattutto, anche se non esclusivamente, donne) nel difendere la propria sfera di autonomia personale e sentimentale; Il secondo dei tre passaggi è speculare al primo e concerne l’atteggiamento psicologico delle vittime, in gran parte donne, certamente più reattivo che nel passato. La coscienza della propria dignità e la sicurezza derivante da una maggiore autonomia e peso sociale le portano a non tollerare più approcci indesiderati e a non subire passivamente ritorsioni e costrizioni nei percorsi di separazione. Non a caso molte vicende di stalking trovano origine in contesti di violenza domestica: nel momento in cui la vittima decide, unilateralmente, di portare a termine il rapporto coniugale o comunque di convivenza l’ex partner – il più delle volte un uomo – inizia una serie di atti persecutori duratura ed insistente. Le condotte più ricorrenti comprendono le minacce, gli atti di vandalismo ai danni della proprietà e le aggressioni fisiche, che spesso la vittima ha subito già nel corso della relazione (c.d. stalking “familiare” o “domestico”). In effetti le convivenze familiari o comunque le relazioni caratterizzate da comportamenti violenti implicano un elevato rischio di originare condotte di molestia in caso di separazione.

contestualmente, l’affermazione giuridica e culturale di una piena parità fra i sessi, legata alle conquiste dei movimenti per i diritti civili e l’emancipazione femminile. In questo quadro, il terzo elemento determinante per l’attribuzione della natura di vero e proprio reato alle condotte di stalking è costituito dal pieno riconoscimento sociale, culturale e istituzionale delle aspettative
delle vittime, che si sostanzia nell’intervento legislativo ad hoc. Come osservavo in precedenza, l’evoluzione sul fronte dei diritti civili, della parità fra i sessi ed una maggiore sensibilità in tema della tutela della privacy sono stati fattori di spinta decisivi.

Cosa differenzia lo stalking da un comportamento ‘normale’?

Quando si cerca di stabilire una relazione con qualcuno, la maggior parte delle persone sono in grado, dopo alcune risposte negative, di comprendere che l’altra persona non è interessata. Continuare a insistere ulteriormente può significare dare inizio a una condotta di stalking.
Quando una relazione si interrompe, è normale che la persona abbandonata si senta particolarmente turbata. Spesso, una reazione all’abbandono può essere quella di tentare di ristabilire un contatto con l’altra persona, supplicandola per avere un’altra possibilità di ricostruire il rapporto. La maggior parte delle persone sono in grado di accettare, pur con difficoltà, la fine di una relazione in un tempo relativamente breve. Ricerche empiriche mostrano che un lasso di tempo di circa due settimane può essere considerato un periodo di tempo oltre il quale il protrarsi di tentativi di riavvicinamento, se rifiutati, diventa problematico. Tentativi ulteriori di comunicare con l’ex-partner o di imporre la propria presenza o le proprie attenzioni dopo questo periodo possono configurare una condotta di stalking, se l’altra persona ha specificato chiaramente di non essere interessata.
Lo stalking produce, quale scopo principale o quale effetto secondario, ansia o paura nelle vittime. Questo aspetto lo differenzia dalle normali interazioni sociali. Una caratteristica dello stalking è rappresentata dalla sua durata. Queste condotte possono protrarsi per molto tempo, anche mesi o addirittura anni. Questo ovviamente non rientra in ciò che definiamo normali tentativi di entrare in contatto con una persona.

CHE TIPO DI STALKER TI STA MOLESTANDO?

Una classificazione basata su circa 200 stalker è stata elaborata in Australia.
La ricerca suddivide gli stalker in cinque categorie:

1) Il primo tipo di stalker è un ex-partner respinto. La vittima e lo stalker hanno avuto in passato una relazione sentimentale che si è conclusa. I motivi del comportamento dello stalker sono riconducibili al desidero di riallacciare la relazione o al tentativo di vendicarsi per essere stati respinti. Questo tipo di stalker può essere molto insistente ed intrusivo. Lo stalking rappresenta una modalità di mantenere in vita il rapporto per quegli stalker che sono rimasti invischiati nella relazione, e su cui riversano la propria rabbia. Non sono infrequenti storie di violenza nei confronti del partner durante la relazione che continuano anche dopo la rottura. Una parte di questi stalker e caratterizzata da marcate anomalie caratteriali, dipendenza, tratti narcisistici o paranoici e/o abuso di sostanze. Possono essere presenti anche veri e propri disturbi mentali. Essi hanno bisogno di aiuto nell’accettare la perdita del partner e nel cercare nuovi obiettivi sociali.

2) Il secondo tipo è lo stalker in cerca di intimità che indirizza i suoi sforzi nel tentativo di costruire una relazione con una persona che lo attrae o che egli ritiene sia innamorata di lui. Si tratta di stalker molto insistenti nei loro approcci con la vittima perché pensano che la vittima cederà se ci mettono abbastanza impegno. Il rischio di violenza non è immediato, ma aumenta con il passare del tempo. Spesso questi stalker non hanno avuto precedenti relazioni e sono piuttosto soli. Possono presentare disturbi mentali abbastanza variegati che vanno dalla schizofrenia al disturbo di personalità narcisistico. Il loro trattamento dovrebbe essere focalizzato sul
disturbo mentale che sottende le condotte di stalking. Le sanzioni penali non si rivelano molto efficaci con questo tipo di stalker che può interpretarle come una prova da superare per dimostrare la propria devozione invece di esserne dissuasi.

3) Un altro tipo di stalker è il corteggiatore inadeguato. Il comportamento è finalizzato al desiderio di instaurare una relazione sentimentale. Si tratta di persone incapaci di stabilire una relazione, che sono spesso anche incapaci di accettare un rifiuto. Sovente mettono in atto condotte di stalking nei confronti di più vittime e cercano un nuovo bersaglio ogni qualvolta non hanno successo con quello precedente. Questo tipo di stalker può diventare violento quando la vittima gli oppone resistenza.

4) Lo stalker rancoroso e motivato dal desiderio di vendicarsi e di creare paura e tensione nella vittima. Questi stalker percepiscono se stessi come vittime che devono difendersi contro presunti persecutori ed invariabilmente si sentono giustificati nel proprio comportamento. Talvolta la vittima è vista come un simbolo delle persone che hanno tormentato ed umiliato lo stalker in passato e pertanto spesso viene scelta in maniera casuale. In alcuni casi lo stalker può diventare violento e può presentare alcuni disturbi mentali come un disturbo di personalità paranoide, un disturbo schizofrenico o delirante.

5) Lo stalker predatore è quello che si prepara a un’aggressione sessuale nei confronti della vittima e mette in atto un’ampia gamma di comportamenti. Non fa che pensare ossessivamente alla vittima in termini sessuali, e diventa violento solo a distanza di tempo. Essi mostrano problemi di autostima, nel funzionamento sociale e nelle relazioni sessuali.

Quali sono i pericoli connessi allo stalking?
La vita della vittima di stalking può divenire particolarmente difficile: molte
persone, per timore di ricevere nuove molestie, hanno paura di uscire di casa, non riescono a mantenere il proprio lavoro, non sono in grado di instaurare nuove relazioni e quindi sono incapaci di salvaguardare la propria quotidianità.
La ricerca ha dimostrato che molte vittime, in seguito a tali esperienze, soffrono di ansia, depressione o disturbo post-traumatico da stress.
Esiste anche il pericolo, che la vittima possa subire vere e proprie forme di violenza da parte dello stalker. Questo, in particolare, accade laddove lo stalker sia un ex-partner. Al di là della particolare attenzione che va prestata agli effetti prodotti sulla vittima, occorre anche ricordare quanto possano essere talora ugualmente devastanti le conseguenze per lo stalker, il quale in alcuni casi può soffrire di seri disturbi mentali che richiederebbero un trattamento.

Dati Italia
In Italia, gli unici dati ufficiali disponibili sul fenomeno dello stalking sono quelli che derivano dall’“Indagine Multiscopo sulla sicurezza delle donne” condotta dall’ ISTAT, indagine che ha misurato la violenza (fisica, sessuale e psicologica) e i maltrattamenti contro le donne, dentro e fuori la famiglia.
Le violenze rilevate nell’ ambito di comportamenti di stalking si riferiscono a episodi messi in atto da ex partner al momento della separazione, che avrebbero coinvolto 2 milioni e 77 mila donne, pari al 18,8% del totale. In particolare, è emerso come il 48,8% delle donne vittime di violenza fisica o sessuale ad opera di un ex partner abbia subito anche comportamenti persecutori. La Calabria rappresenta la terza Regioni con il più alto tasso di vittime di stalking, circa il 24% , preceduta dall’Emilia Romagna con il 39% e dalla Toscana il 28%.
A cura della dott.ssa Francesca Filice