Per la settimana dedicata al mondo femminile, concludiamo con un articolo dedicata alla costruzione sociale della donna in alcuni paesi del mondo.
L’identità
è la questione “all’ordine del giorno” (Bauman).
Gli
uomini e le donne sono, è ovvio, diversi. Ma non sono così diversi
come il giorno e la notte, lo yin e lo yang, la vita e la morte. Dal
punto di vista della natura, gli uomini e le donne sono più simili
gli uni alle altre che a qualsiasi altra cosa – alle montagne, ai
canguri o alle palme da cocco. L’idea che siano diversi tra loro,
più di quanto ciascuno di essi lo è da qualsiasi altra cosa, deve
derivare da un motivo che non ha niente a che fare con la natura. Il
rapporto tra sesso e genere varia a seconda delle aree geografiche,
dei periodi storici, dalle culture di appartenenza. I concetti di
maschile e femminile sono concetti dinamici che devono essere
storicizzati e contestualizzati. Ogni società definisce quali valori
additare alle varie identità di genere, in cosa consiste essere uomo
o donna. Uomo e donna sono quindi concetti relativi. Lo
scopo di questo articolo è portare tre esempi significativi per
mettere in evidenza come una data società possa costruire un dato
modello femminile.
Loto
D’oro
Il
termine “Loto
d’oro” deriva probabilmente dall’andatura oscillante che
assumevano le donne, sottoposte a tale “pratica”, mentre
camminavano, per via dei piedi che arrivavano a misurare una
lunghezza tra i 7 e i 12 centimetri. Per arrivare alla forma
desiderata i piedi venivano tenuti fasciati per un periodo di tempo
variabile da 3 a 10 anni, prima piegando dal secondo al quinto dito
(lasciando quindi l’alluce disteso) e in un secondo tempo
avvicinando il “ditone” ed il tallone inarcando il collo del
piede. In questo modo avveniva una deformazione delle ossa
metatarsali e delle articolazioni.
Le
immagini erotiche del periodo Sung e dei periodi successivi
rappresentano le donne completamente nude, con la vulva evidenziata
in ogni particolare, ma non ho mai visto nè ho mai letto di
un’immagine che rappresentasse nudi i piedi normalmente fasciati di
una donna. Questa parte del corpo femminile era assolutamente tabù.
Così in Cina, molte ragazze si sono, in passato, “volontariamente”
fasciate i piedi per conquistarsi un matrimonio prestigioso o
per diventare la favorita tra le concubine. Così il dolore è un
prezzo necessario per diventare “donne desiderabili”. In
questa prospettiva, la fasciatura dei piedi è stata successivamente
letta soprattutto come un dispositivo atto a garantire e preservare
la castità femminile. In Cina, la castità, intesa in particolare
come fedeltà della moglie al marito e alla famiglia di lui in caso
di vedovanza, costituiva la virtù femminile per eccellenza nella
cultura confuciana dominante. In
ultimo, la pratica fu abolita ufficialmente da un decreto imperiale
del 1902, ma ci vollero 50 anni affinché la pratica scomparisse
gradualmente. Quando gli uomini cominciarono a preferire i piedi
grandi, per le donne con i piedi fasciati fu una seconda tragedia,
perché videro vanificati anni di sofferenze e aspettative.
The
Women Who Live as Men “Sworn Virgin”
Il
fenomeno delle “sworn
virgin” tra
le catene montuse del Nord Albania, come studio socio – culturale e
antropologico, è riuscito a raggiungere il pubblico soprattutto dopo
la pubblicazione del meraviglioso libro dell’antropologa Antonia
Young, “Women
Who Become Men: Albanian Sworn Virigina “,
essendo anche riuscita ad intervistarle direttamente.
Il
soggetto con sembianze da uomo nelle foto, in realtà è donna, che
in mancanza di un erede maschio in famiglia o per evitare di sposare
l’uomo a cui la famiglia l’aveva promessa, ha deciso di
abbandonare la propria “femminilità”, e vivere da “celibe”
come uomo “onorevole” fino alla fine della sua vita.
Attraverso
l’atto del “giuramento” che non si sarebbe mai sposata, privava
se stessa di tante soddisfazioni e si trovava anche a dover cambiare
il proprio stato sociale. Prendeva un nome da maschio, si vestiva da
maschio, si muoveva e gesticolava da uomo finchè anche la società e
l’ambiente che la circondava non la riconosceva come tale. L’autrice
però si interessa maggiormente del mondo interiore di questa
creatura. Essa infatti cambia solo il proprio stato sociale, il
suo genere resta immutato poiché continua ad avere i sentimenti di
una donna. L’autrice è proprio curiosa di sapere riguardo al
rapporto della vergine con i membri del genere opposto e quelli del
suo stesso genere, dato che lei si ritrova ad averne due, uno
interiore ed uno esteriore. Dalle conversazioni che tiene con le
vergini, conversazioni che riesce ad ottenere con non poche
difficoltà e solo con alcune di loro, arriva alla conclusione che in
queste zone vigono regole molto severe sull’onore, sulla fiducia
(promessa, parola data), ospitalità e vendetta, per cui il disonore
e le perversioni sessuali sono sentimenti sconosciuti. Mentre
in altre società il cambiamento di sesso dovuto a motivi interiori
dell’individuo e viene visto negativamente ( solitamente le
modifiche sono trasformazioni da uomo a donna e vengono realizzati
attraverso interventi chirurgici), in quella caso l’individuo si
sacrifica per la società; la trasformazione era sempre da donna a
uomo, dovuta forse ad una società di tipo patriarcale dove essere
uomo veniva visto come un privilegio.
Geisha
“Noi
non diventiamo geishe per perseguire il nostro destino… noi
diventiamo geishe perché non abbiamo scelta”
sono le parole di Mameha (Memorie
di una geisha). Entriamo
in un mondo in cui le apparenze sono di primaria importanza, dove la
verginità di una ragazza è all’asta al miglior offerente, dove si
formano le donne per ingannare gli uomini più potenti, e dove
l’amore è un’illusione disprezzata. Si tratta di un lavoro unico
e trionfante della fiction – in una volta romantico, erotico, e di
suspense – e completamente indimenticabile. Geisha non
si nasce, si diventa! Vendute o abbandonate a 3-4 anni
dalle loro famiglie vivono nelle Okiya, case giapponesi tradizionali,
governate da una donna anziana, spesso una geisha ormai ritirata
dalla professione. Per un uomo la Geisha può essere solo una moglie
a metà: sono le mogli del crepuscolo. Tra il danna (la
parola danna in
giapponese significa padrone, ma in relazione con la geisha questo
termine significa cliente-marito) e la geisha si crea sovente un
rapporto particolare, che può sfociare anche in relazioni durature e
figli. Capita a volte che una geisha si innamori (anche se non
dovrebbe farlo) e decida di sposarsi, abbandonando la professione e
magari diventando insegnante di danza o di shamisen
(Lo Shamisen è uno strumento musicale giapponese a tre corde).
Nel
moderno Giappone è raro vedere geisha e maiko all’esterno del
loro hanamachi. Nel 1920, infatti, c’erano più di
80.000 geisha in tutto il Giappone, ma oggi sono molte meno; il
numero esatto non è noto se non alle geisha stesse (che sono molto
protettive nei confronti del mistero che, anche nello stesso
Giappone, aleggia attorno alla loro figura), ma si stima non siano
più di un paio di migliaia. Molte di loro, inoltre, sono ormai quasi
solamente un’attrazione turistica.
La
celebre frase di De Beauvoir “Donna
non si nasce, lo si diventa”
mette a nudo la costruzione sociale della differenza discriminante.
Note:
La
costruzione sociale del femminile e del maschile, Simonetta
Piccone Stella e Chiara Saraceno – Bologna, 1996.
La
vita sessuale nell’antica Cina, R. H. Van Gulik, 1987.
Women
Who Become Men: Albanian Sworn Virigina, Antonia Young,
2000.
Memorie
di una geisha (Memoirs of a Geisha), Arthur Golden,
1997.
Foto: “sworn
virgin”.
Ardiana
Zenuni -
studentessa Compass
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