Attualità e Sociale






Professione caregiver. 
L'impatto dei centri diurni sulle pratiche di assistenza e sulle rappresentazioni sociali della malattia di Alzheimer


La salute, così come la malattia, non esistono in un vuoto sociale, ma si inseriscono in contesti relazionali e culturali, interagendo con i valori, le tradizioni e le immagini circolanti in una determinata società. Il libro è rivolto all'approfondimento delle problematiche, che insorgono nella famiglia colpita dal "dramma" dell'Alzheimer. Lo scopo è quello di individuare una metodologia d'intervento di tipo socio-assistenziale, atta ad aiutare i nuclei familiari a mobilitare tutte quelle capacità utili per fronteggiare i pericoli insiti nella gestione della cronicità.
L’alzheimer è una patologia degenerativa delle cellule cerebrali che implica problematiche sociali, economiche, politiche e istituzionali. Essa si manifesta generalmente nelle prime fasi, con l'incapacità da parte del soggetto che ne è affetto, di acquisire nuovi ricordi e la difficoltà nel ricordare eventi osservati recentemente. Con l'avanzare della malattia, il quadro clinico può prevedere confusione, irritabilità e aggressività, sbalzi di umore, difficoltà nel linguaggio, perdita della memoria a lungo termine e progressive disfunzioni sensoriali.
Pur essendo allo stato attuale incurabile, la sintomatologia di questa malattia può essere alleviata ricorrendo a tutte quelle iniziative tipiche del "prendersi cura" in cui il ruolo dei familiari è così fondamentale da farla definire, dal punto di vista socio-antropologico, una "malattia familiare”.
L’alzheimer è dunque una patologia cronico degenerativa che determina tutta una serie di difficoltà e conseguenze anche gravi non solo per la persona che ne è affetta ma anche e soprattutto peri caregivers, ovvero coloro che si prendono cura e si fanno carico del paziente. A tal proposito è necessario fare una distinzione tra caregivers formali (medici- psicologi, assistenti sociali, educatori, operatori sociosanitari) che hanno appunto un rapporto formale con il paziente e si occupano dello stesso soprattutto da un punto di vista sociosanitario, e caregivers informali(familiari, parenti, amici, badanti) i quali si occupano del paziente da un punto di vista socio assistenziali.
I caregivers informali occupano buona parte della loro giornata dedicandosi al paziente, sostenendo un pesante carico assistenziale per la gestione dei deficit cognitivi e dei disturbi comportamentali, tale carico nel tempo diventa sempre più complesso da gestire, il caregivers rischia così di essere isolato e di isolarsi emotivamente e socialmente dalla vita pubblica e privata, fino ad arrivare gradualmente ad una vera e propria crisi psichica.
Il testo permette di riflettere sulle difficoltà che vive quotidianamente la persona affetta da alzheimer ma anche dei familiari che si trovano a gestire una situazione complessa data da tutte le conseguenze che la stessa malattia determina, individuandone le metodologie più adeguate da adottare per la gestione di tali criticità.

Libro consigliato ai caregivers informali e formali, quest’ultimi in particolare svolgono un ruolo essenziale nel supporto del paziente ma anche dei familiari, pertanto devono dotarsi di tutta una serie di strumenti che siano da esempio per i familiari che vivono quotidianamente a contatto con il paziente.
Fasanelli Roberto; Galli Ida; Sommella Debora – Editore Liguori  
a cura della Dott.ssa Francesca Filice




















             

                             Il bambino cattivo 

             di Pupi Avati 



a cura  della dott.ssa  Francesca Filice



Un film tv che racconta attraverso parole forti e immagini toccanti il doloroso tema dell'abbandono, della difficoltà di adattamento a questa difficile realtà da parte dei bambini, della loro speranza di trovare finalmente delle mani che possano riabbracciarli e dei cuori che possano amarli senza interruzioni.

Il bambino cattivo” è la storia di Brando, un bambino di soli undici anni e di una coppia che si sta separando per incomprensioni e indifferenza. Il padre Michele, immaturo e assente, tradisce la madre Flora, preda di crisi depressive: a quel punto Flora tenta il suicidio, e il nucleo famigliare esplode per sempre senza alcuna possibilità di ricomposizione.

La madre di Brando viene così ricoverata in una clinica a causa di una forte depressione, mentre il padre, che nel frattempo ha una nuova compagna, rinuncia alla patria potestà. Brando viene affidato ad un istituto, dove seppur con molte difficoltà di adattamento, ricomincia a sentire quel calore che ormai aveva dimenticato, da quando i suoi genitori avevano iniziato una lotta senza tregua. Inizia così per il bambino un lungo periodo di permanenza nella casa famiglia, inizialmente con la speranza di un ritorno a casa con il padre, poi di una famiglia “vera” in grado di dargli cure e affetto.

Deve infatti affrontare un duro percorso esistenziale prima di poter permettere a se stesso di essere felice. Per Brando è difficile non pensare a quanto accaduto, a quel doloroso abbandono, tuttavia anche se con molte resistenze e rifiuti, riesce a trovare una coppia che intende restituirgli quel sorriso e quella serenità che ogni bambino merita.

Un film che sottolinea come, sempre più di frequente, le vittima più esposte nelle disgregazioni delle unioni matrimoniali siano proprio i figli, condannati ad assistere da spettatore passivi allo scuotimento affettivo/istituzionale che determinano le separazioni coniugali.

Un ruolo centrale nelle realtà sopradescritte è ricoperto degli assistenti sociali, chiamati ad intervenire nella gestione dei conflitti e nella tutela dei minori, essi intervengono infatti sul minore, sulla famiglia, sul contesto sociale e culturale in cui sono immersi, dovendo fornire valutazioni circa le cause di disagio del minore che in alcuni casi ne determinano il comportamento deviante.
Situazioni conflittuali e talvolta l’assenza di regola portano il bambino o adolescente alla messa in atto di comportamenti che generano conseguenze anche gravi: uso e abuso di alcolici, sostanze stupefacenti, bullismo, infrangere le regole.
Vivere realtà complesse come quella della separazione è per ogni persona, tanto più se si tratta di un minore , un’esperienza traumatiche, segno indelebile per tutta l’esistenza pertanto è necessario agire non solo nel rispetto dei metodi e delle tecniche proprie del servizio social, ma anche e soprattutto nel rispetto dei valori e dei principi fondanti della professione.







 Errore e apprendimento nelle professioni di aiuto.
Alessandro Sicora, Aprile 2010 Maggioli Editori
a cura della Dott.ssa Francesca  Filice

Sbagliando si impara? Si impara ma si sbaglia ugualmente?
Quello che può sembrare un semplice gioco di parole, nelle professioni d’aiuto è invece occasione di riflessione sul proprio operato.

L’errore e l’apprendimento sono i temi centrali trattati dall’autore, quali momenti essenziali per mettere in atto la pratica della riflessività. Il volume, propone infatti un’osservazione sul campo, dove errori e riflessioni si intrecciano nella pratica di servizio sociale e permettono ai professionisti del sociale di essere più critici verso il proprio lavoro, trasformando così il momento negativo e frustrante, quale quello dell’errore, in occasioni da cui imparare e apprendere per i casi e le esperienze future, non è un segno di debolezza ma di forza per il professionista.

 L’operatore infatti, vive spesso con profondo disagio “l’errore” accaduto considerandolo un proprio fallimento personale e/o professionale. Nei servizi sociali e sanitari sbagliare significa, più che altrove, porre a rischio di danno persone già fragili. Di fronte a una tale prospettiva non si può rimanere inerti, ma vanno prese tutte le iniziative attuabili per controllare e minimizzare gli effetti degli errori.

L’interrogativo di base che attraversa l’intero libro è quindi: “come può il professionista apprendere da quanto di sbagliato ha fatto?” Il libro si divide in due sezioni: una prima parte di carattere più descrittivo, centrata sull'idea dell’errore quale tema che coinvolge apprendimento, danno e responsabilità e una seconda di carattere applicativo, nella quale vengono forniti strumenti di vario genere utili per l’operatore singolo e per l’èquipe di lavoro.

La parte finale del volume è poi dedicata agli spetti giuridici in materia di errore e responsabilità nelle professioni d’aiuto. Si tratta di una sezione con la quale si vuole ricordare che l’errore può essere occasione non solo di apprendimento, ma anche di danni che implicano tuttavia precise responsabilità per l’operatore che li produce.

Significativa è l’indagine riportata, effettuata sul campo tra professionisti che operano in ambiti diversi, con la quale si è cercato di esplorare gli errori commessi e la percezione delle cause e degli effetti che gli stessi hanno prodotto.Il volume è rivolto a tutti i professionisti (assistenti sociali, educatori professionali, infermieri, psicologi) che operano nell'ambito complesso dei servizi sociali e socio-sanitari e che commettendo degli errori nella pratica professionale possano riflette sull'accaduto e trarne dei benefici per porvi rimedio.


































Donne che amano troppo (Robin Norwood)
di Dott.ssa Elvira Orrico 
                                           "Quando amiamo troppo, in realtà non amiamo affatto
perché siamo dominate dalla paura: paura di restare sole,
paura di non essere degne d'amore, paura di essere abbandonate o ignorate...
E amare con paura significa soprattutto attaccarsi morbosamente
a qualcuno che riteniamo indispensabile per la nostra esistenza,
amare con paura comporta la messa in atto di tutta una serie
di meccanismi di controllo per tenere l'altro
nell'area del proprio possesso..."

Il libro è stato scritto negli anni ’70 dalla psicologa americana che fece da apripista alle discussioni sulle dipendenze affettive. Il titolo del libro è esplicativo di ciò di cui parla l’autrice-psicologa e una riflessione ha mosso i miei pensieri quando sono giunta all’ultima pagina di questo libro, nella loro vita sentimentale le donne protagoniste amano, amano troppo, amano totalmente ma non arrivano ad amare se stesse. Anche quando si rendono conto che il loro partner non è quello giusto, quello che fa per loro, non riescono a lasciarlo.
Il libro ci fa riflettere sul fatto che quando in un rapporto amare vuol dire soffrire e star male stiamo amando troppo. Troppo rispetto alla situazione, troppo rispetto alla persona, troppo rispetto a noi!
Il percorso che la psicologa ci mostra nelle singole situazioni in cui le donne che lei segue si vengono a trovare ci fa comprendere che anche in una situazione di limite si può ritrovare la strada, ricevendo il giusto supporto si riesce ad uscire da una situazione di amore sbagliato. Ritrovare l’amore e la stima di sé, non avere più la paura dell’abbandono.
Questo libro può essere da supporto a tutte le donne che amano troppo per comprendere e capire i loro comportamenti giusti e sbagliati e a tutti gli uomini che amano una donna per capire come e perché a volte agiamo in un determinato modo. 

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IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA
Un film di Jean-Pierre Dardenne e Luc Dardenne
con Jèrèmie Renier Cècile De France
Thoma Doret 

di Gabriella Dragani


Cyril, dodici anni, viene rifiutato da un padre che lo dà via insieme alla sua bicicletta. Ma lui testardo contro tutti e tutto insiste nel farsi accettare, rivuole il padre e la sua bicicletta. Riuscirà a trovare solo quest'ultima con la quale sfogherà tutte le sue inquietudini e i suoi malumori. Durante l'ennesima fuga incontra ( anzi si scontra ) con Samantha, una parrucchiera dolce e sensibile che accetta di occuparsi di lui nel fine settimana. La convivenza non sarà facile, Cyril fa a botte con i coetanei, si fa reclutare da un bullo del quartiere, finisce nei guai con la legge e ferisce nel cuore e al braccio Samantha. Ma in sella alla bicicletta e a colpi di pedali Cyril (ri)troverà la strada di casa. La narrazione dei Dardenne è durissima e feroce nella descrizione del mondo che circonda Cyril, un mondo arido fatto di sentimenti negativi, momenti di illusione che aleggia quasi in ogni figura del film. A cominciare proprio dal padre, un personaggio privo di amore paterno ma forse e soprattutto privo di amore. In lui Cyril cerca l'affetto, affetto che prova addirittura a comprare ma che rivelerà un padre solo di nome. Il personaggio del bullo di quartiere che nell'individuare a colpo sicuro un ragazzo debole e facile da circuire lo addestra per commettere una rapina, rappresenta un mondo giovanile privo di scrupoli e senza possibilità di riscatto, una generazione che oltre a delinquere accetta passivamente ogni ordine dal leader del gruppo. Ed infine gli operatori della casa famiglia che si arrendono alla rabbia e alla violenza di Cyril senza indagare o offrire una adeguata assistenza al ragazzo che non accetta ciò che la vita gli ha riservato. E allora i Dardenne stigmatizzano il padre – incapace nello scegliere il dovere e interessato solo a salvarsi la vita – le nuove generazioni – alla ricerca del “soldo facile” - la società che non ha gli strumenti adeguati per accogliere e dare fiducia ad un ragazzo solo. Ma malgrado l'asprezza del film, i Dardenne scelgono di regalare la speranza sia allo spettatore che al ragazzo e la rappresentano nel personaggio di Samantha, la parrucchiera che fra l'amore del compagno e l'affetto per il ragazzo opterà per quest'ultimo sapendo che sarà una relazione difficile ,e forse anche violenta ma che è per Cyril finalmente l'approdo a casa. L’inizio del secondo movimento dell’Empereur di Beethoven accompagna molto opportunamente i momenti in cui la rabbia di Cyril, che in maniera forsennata pedala, pedala, pare sul punto di placarsi, creando quella giusta attesa dello scioglimento finale, dopo il quale soltanto, l’adagio si completerà.






















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