Last minute market: il Km zero dello spreco
Nella
cultura contadina, era pratica comune non racimolare tutto il
raccolto ma lasciarne una minima porzione a terra per i contadini, i
passanti e i bisognosi. Fino a qualche anno fa lo scarto era
considerato rifiuto, un rifiuto non accettabile. Anche solo il
termine aveva spesso il ruolo di echeggiare mondi di esclusione e di
rifiuto: “lo scarto della società”, “essere scartati da
qualcuno”.
La
parola “scarto” dunque è andata a occupare territori che hanno
a che fare con la dignità personale, con la scala sociale fino a
diventare un
tabù. Nell'era del consumismo più sfrenato ecco che lo scarto è
qualcosa che si attacca anche alle cose ancora funzionali, idonee a
svolgere il proprio ruolo, ma il consumo senza limiti, l'inseguire
“il trendy” come l'unica icona o valore sociale ci ha trascinato
a
rincorrere il più nuovo, più bello, più buono, più bianco, più
colorato e lo scarto ha perso ogni attrattiva diventando prima
“rifiuto”
e poi sempre più “spreco”.
Ogni
giorno in Italia vengono gettate in discarica 4000 tonnellate di
alimenti ancora perfettamente commestibili e così pasta e pane per
il 15%, carne per il 18% e il 12% di frutta e verdura. In pratica in
un anno vengono sprecati alimenti per 1,5 milioni di tonnellate. I
luoghi dove tutto ciò accade in modo evidente sono i negozi
alimentari della grande distribuzione. Per capire meglio è
sufficiente fare la spesa in un normale tardo pomeriggio e osservare
come gli scaffali della panetteria, dei latticini, della carne, del
pesce, delle verdure sono ancora. Prodotti che il giorno dopo non
posso essere negli scaffali perché il consumo a tutti i costi ci
impone che
il pane sia sempre fresco, la carne appena tagliata e lo yogurt
con scadenza non ravvicinata.
Dove
va a finire tutto quello scarto che appena esce dal supermercato
diventa subito spreco? Verso le discariche. Ma perché non
recuperarlo, perché non regalare cibo in scadenza o non
“esteticamente bello” - come per esempio lo scatolame di legumi
imperfetto - a persone, associazioni, enti che possono trasformare
“lo spreco” in risorsa? C’è
qualcuno però che ha pensato: parliamo di un
gruppo di ricercatori della Facoltà di Agraria dell'Università di
Bologna che,
guidati dal Prof.
Andrea
Segré,
ha
iniziato a studiare la possibilità di
gestire in modo diverso il processo di distribuzione del cibo e
a pensare che il ciclo
di vita di un prodotto non
debba per forza fermarsi alla fine del primo stadio di consumo, ma
possa essere prolungato. Da questa intuizione è nato il Last
Minute Market,
un’idea
diventata ormai una start-up con iniziative attive in tutta Italia.
Dice
il prof. Segré: “Last
significa ultimo, ma con un doppio senso: l’ultimo
minuto perché
dobbiamo fare in fretta, i prodotti scadono, sono danneggiati, li
dobbiamo consumare presto, ma ultimo
anche perché i beneficiari sono gli ultimi della società.”
Il meccanismo virtuoso studiato dal Last Minute Market mette
in collegamento l’impresa che vuole donare il prodotto con le
Associazioni no profit che
lo possono ricevere per fornire pasti a persone in condizioni
di disagio economico o sociale. I primi ci guadagnano perché non
devono sobbarcarsi i costi di trasporto e
smaltimento, i secondi perché non devono acquistare la materia prima
pur potendo assicurare alimenti validi e buoni.
E’
una soluzione win
win in
cui entrambi gli attori in campo vincono. E
non solo loro. Se pensiamo che ogni tonnellata di rifiuti alimentari
genera 4,2 tonnellate di CO2 è facile capire come il prolungamento
della filiera produttiva equivale
anche a un grosso sconto sui costi dell’ambiente e sui costi della
collettività. Il progetto quindi si è ancorato al decreto
Ronchi che
trasforma la tassa sui rifiuti in tariffa di igiene ambientale,
facendo pagare non in base alla superficie degli esercizi ma in base
alle quantità smaltite, e così è stato
possibile applicare degli sconti a quei dettaglianti che recuperavano
il cibo invece di gettarlo.
“Per
lottare contro lo spreco –
prosegue Andrea Segré – bisogna
promuovere un’azione
di
sviluppo
auto-sostenibile a livello locale che sfrutta la prossimità
riducendo lo spazio e il tempo in
modo che siano evidenti i benefici diretti e indiretti di
quest’azione e le sue ricadute positive ”.
In pratica si
raccoglie e si consuma sempre in una zona ristretta di territorio ed
entro un raggio di pochi chilometri in modo da non avere costi di
conservazione e di trasporto, abbattendo l’impatto che questi hanno
sull’ambiente. L’obiettivo del Last Minute Market è
culturale. Portare
agli occhi della gente lo
scarto, quantificare lo spreco, valorizzarlo
in termini di costi significa spesso creare le condizioni per
diminuirlo.
Come
dice Andrea Segrè, però, questo non basta. “Dobbiamo
agire a monte prima dello spreco”.
Esiste infatti un concetto di sufficienza che nel tempo la società
ha perso per strada a favore del concetto di accumulo: lì
in quel luogo dove “più
non è uguale a meglio” sta
un nuovo
modello eco-nomico ed eco-logico che
riduce la propensione al consumo senza modificare il livello di
benessere.
a cura di Gabriella Dragani
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