lunedì 28 aprile 2014

Cittadinanza attiva: tra volontariato e democrazia

Il  volontariato che  ha il diritto e la libertà di intervenire attivamente nella cura dei beni comuni al fianco del pubblico.

Un sondaggio di Eurobarometro dell’ottobre 2010 ha chiesto ai cittadini della Ue di definire il loro status e i diversi diritti che possiedono come cittadini dell’Unione europea. I risultati dicono che il 58% degli italiani sa cosa vuol dire essere cittadini europei; il 30% conosce il termine ma non sa cosa vuole dire e l’11% non ne ha mai sentito parlare. Rispetto ai diritti di cittadinanza la percentuale precipita: il 51% non è bene informato e il 15% non ne sa nulla. Inoltre per la maggior parte sono consapevoli di essere «sia cittadini dell’Ue sia della propria nazione». Tuttavia, circa un quinto degli intervistati pensa che «si può scegliere di essere cittadini della Ue».

Abbiamo chiesto a Gregorio Arena, docente di diritto amministrativo all’Università di Trento e alla Luiss di Roma, nonché presidente di Labsus (Laboratorio per la sussidiarietà) e studioso di cittadinanza attiva, come dobbiamo leggere questi dati e quali conseguenze possiamo trarne.

«La cittadinanza europea la si acquisisce solo se si è cittadini di uno stato membro dell’Unione europea. L’aspetto interessante è che l’Ue ha preso una posizione molto netta di non intervento nelle modalità di acquisizione della cittadinanza dei Paesi membri. Le nazioni che hanno fondato l’Europa sono partite dall’assunto di non volere più guerre, rinunciando così all’uso della forza nella relazione tra di loro. Poi hanno rinunciato a battere una moneta nazionale e hanno condiviso l’euro. Però non hanno rinunciato a voler determinare i modi con cui si diventa cittadini della propria nazione. È come se il caposaldo della sovranità nazionale fosse intoccabile. Perché l’esser cittadino di uno Stato vuol dire essere parte di una comunità, quindi c’è un dentro e un fuori sia metaforico che materiale. Si diventa cittadini europei solo se si è cittadini di una Nazione europea, ma sul come lo si diventa l’Unione non è in grado di offrire alcun consiglio. Qualche anno fa per esempio, abbiamo registrato che in America Latina, in particolare in Argentina, tantissimi discendenti di italiani richiedevano la cittadinanza italiana. Ma il vero motivo di questa forte richiesta, soprattutto negli anni pre-crisi, era proprio per avere la possibilità di muoversi liberamente nello spazio europeo, quindi non da immigrato extracomunitario. Infatti la legge italiana sulla cittadinanza privilegia lo ius sanguinis - il diritto di sangue - e quindi riconosce il diritto ad essere cittadini italiani a persone che non hanno nulla a che fare con l’Italia e che di fatto vivono in un altro Paese, mentre non lo riconosce ai 900 mila ragazzi figli di immigrati nati in Italia ma che appunto non sono figli di italiani. Eppure non sono stranieri dato che vivono qui, vanno a scuola, fanno parte di una comunità. Non c’è un fuori da cui sono venuti essendo nati qui. Dunque questo tema della cittadinanza nazionale è cruciale perché poi ogni Stato decide chi deve essere cittadino e, di conseguenza, se diventa cittadino europeo. Se noi riconoscessimo ai 900 mila ragazzi figli di immigrati il diritto alla cittadinanza in virtù dello ius soli – diritto del suolo – per il fatto di essere nati sul territorio dello Stato, questi 900 mila diventerebbero automaticamente cittadini europei.




«Il volontariato è una delle dimensioni fondamentali della cittadinanza attiva e della democrazia, nella quale assumono forma concreta valori europei quali la solidarietà e la non discriminazione e in tal senso contribuirà allo sviluppo armonioso delle società europee». Sono passaggi fondamentali della decisione del Consiglio Europeo del 27 novembre relativa all’Anno europeo delle attività di volontariato che promuovono la cittadinanza attiva. Una decisione che incentra la sua azione sul sostegno agli Stati membri di portare al centro del dibattito l’azione volontaria e di promuovere scambi di esperienze e buone prassi tra le associazioni. Dare visibilità a un mondo operoso, poco raccontato dai media, ma che attraverso attività e iniziative e relazioni pone al centro la comunità e il territorio nei quali opera. Lei pensa che l’Italia sia pronta a tutto questo?

Sì, il volontariato è uno dei pochi punti di riferimento dell’opinione pubblica italiana frastornata e delusa. Infatti i dati sulla fiducia nei partiti sono in discesa, solo il 14% degli italiani si fida dei partiti politici. Un consenso in caduta libera, se teniamo conto che nel ‘93, dopo Tangentopoli, la fiducia era al 24% e riguardava solo alcuni partiti. Vent’anni dopo è precipitata ai minimi storici e si estende a tutti i partiti. Quella che abbiamo di fronte è una situazione pericolosissima dal punto di vista della tenuta del sistema democratico, soprattutto quando il rispetto nei confronti dei partiti raggiunge queste percentuali così basse. In compenso le associazioni di volontariato riscuotono un’altissima fiducia. Secondo il rapporto Italia 2011 di Eurispes, le organizzazioni che ogni giorno si impegnano sul fronte della solidarietà verso il prossimo sono capaci di raccogliere tra gli italiani un indice di gradimento vicino all’80%. L’Italia sembra dunque essere un terreno di coltura particolarmente fertile per il volontariato sia per caratteristiche storiche, sia per tradizione. Se è vero infatti che il municipalismo, il localismo, sono concetti negativi, perché introducono egoismi territoriali e frammentazione, è altrettanto vero che dal punto di vista dell’esercizio delle forme di volontariato sono un vantaggio. Perché il volontariato si esprime soprattutto a livello di comunità locale.


Poi c’è il capitolo del pluralismo. L’Italia, grazie all’articolo 2 della Costituzione che riconosce le formazioni sociali, è un terreno fertile di associazioni, movimenti, organizzazioni, comitati. E, per il rovescio della medaglia, questo è anche uno dei motivi per cui nel nostro Paese è più difficile amministrare. Ma, se le amministrazioni pubbliche rispecchiano le società di cui sono a servizio, allora l’amministrazione pubblica italiana è un’amministrazione molto frammentata, il cui problema principale spesso è il coordinamento, proprio perché rispecchia la società in cui è inserita. Dalla società italiana arrivano continuamente anche spinte minuscole, ma che sono segno di vivacità e di vitalità. Quanti sono i comitati di persone che si impegnano sul territorio? Tantissimi. Ma, non ultimo, l’Italia è l’unico Paese europeo, tranne la Polonia che ha un piccolo articolo simile, che ha riconosciuto in maniera esplicita il principio di sussidiarietà nella Costituzione. Devo anche sottolineare che mi è successo di incontrare rappresentanti del volontariato di altri Paesi europei che erano assolutamente allibiti all’idea che la Costituzione italiana riconoscesse la cittadinanza attiva e quindi il volontariato.

Nessun commento:

Posta un commento