Leggendo
di economia civile, ci è parso davvero interessante questo articolo
che postiamo per una comprensione più approfondita dei temi di cui
ci occupiamo e che rappresentano il focus del nostro lavoro.
L'intervista è apparsa su Avvenire del 2013 e mette in luce temi e spunti per una riflessione comune e condivisa sul nostro
tempo.
L'economista
Zamagni: «E' tempo di economia civile»
La
crisi dimostra il fallimento dei modelli economici che hanno dominato
negli ultimi decenni e prova che è ormai necessario riscrivere i
manuali di economia. C’è un contesto nuovo ed è il modello
dell’economia civile di mercato ciò a cui dobbiamo guardare».
L’economista Stefano Zamagni è stato tra i primi in Italia a
riscoprire il valore e la modernità di quella che nel ’700 Antonio
Genovesi battezzava col nome di "economia civile",
attualizzando l’idea che l’homo oeconomicus si debba nutrire
anche di relazioni, motivazioni, fiducia, e che l’attività
economica abbia bisogno di virtù civili, di tendere al bene comune
più che alla ricerca di soddisfazioni individuali. Concetti verso i
quali sta crescendo l’attenzione in tutto il mondo, e che risuonano
nelle parole pronunciate ieri da Papa Francesco sulla tirannia del
denaro come dato di questa crisi finanziaria, caratterizzata dal
rifiuto dell’etica e della solidarietà, dalla negazione del
primato dell’uomo. Ora i princìpi di un nuovo possibile modo di
agire nel mercato, nel rispetto della persona umana, potranno essere
diffusi in modo più strutturato grazie alla nascita di una scuola
dedicata, la «Sec - Scuola di economia civile», che si celebra
domenica a Incisa Valdarno (Firenze), e della quale Zamagni è
presidente del comitato scientifico d’indirizzo.
Professore,
perché oggi c’è bisogno di ripartire guardando all’economia
civile?
Il dato di partenza è la crisi del modello
neoliberista teorizzato che ha dominato negli ultimi 50 anni. È una
visione che dicotomizza la società, definendo il mercato come il
luogo dell’utilitarismo e lasciando ad altri ambiti della vita
sociale questioni come l’altruismo e la filantropia. Un modello che
rappresenta il massimo dell’irresponsabilità. Ma anche l’economia
sociale di mercato di marca tedesca, dove lo Stato supplisce ai
limiti del libero mercato, è entrato in crisi: può funzionare per
la Germania, ma non per altri Paesi, come stiamo vedendo in Italia,
in Gran Bretagna o altrove.
Cosa si intende per economia
civile, e in che cosa supera altri modelli?
L’economia
civile non contrappone Stato e mercato o mercato e società civile,
cioè non prevede codici differenti di azione, ma in linea con la
Dottrina sociale della Chiesa punta a unirli. Inoltre teorizza che
anche nella normale attività di impresa vi debba essere spazio per
concetti come reciprocità, rispetto della persona, simpatia. Oggi
invece si ritiene ancora che l’impresa possa operare nel mercato
come meglio crede, o non rispettare in pieno la dignità dei
lavoratori, e poi magari fare della filantropia oppure concedere in
cambio il nido per i figli dei dipendenti. Ecco, non dovrebbe
funzionare così. Un altro aspetto riguarda la società civile
organizzata – cooperative sociali, associazioni di promozione
sociale, fondazioni – che non viene confinata al ruolo di soggetto
incaricato di ridistribuire il sovrappiù, come in altri sistemi
economici, ma è valorizzata come soggetto economico vero e proprio,
messa al lavoro.
A proposito di lavoro, quali risposte si
possono dare di fronte a una realtà che presenta situazione
drammatiche, in particolare per i giovani?
Sappiamo che il
capitalismo oggi non riesce a occupare più dell’80% della forza
lavoro. Il problema è che cosa fare con l’altro 20%. Li
abbandoniamo condannandoli alla precarietà eterna, oppure concediamo
sussidi che in ogni caso prima o poi finiscono? La risposta degli
economisti civili è diversa e porta a considerare forme di impresa,
come ad esempio le cooperative sociali, alle quali affidare il
compito di garantire la piena occupazione del sistema, orientandole
sull’offerta di beni comuni, beni pubblici e beni
relazionali.
Questo vuol dire che la società civile diventa
protagonista di un nuovo modello di Stato sociale?
Sì, perché
tanto il modello neoliberista quanto quello socialdemocratico di
welfare non funzionano più. Il primo non assicura l’universalità
dello Stato sociale, l’altro non garantisce la qualità. La
soluzione è il welfare civile, fondato sul principio di
sussidiarietà circolare, cioè sulla collaborazione tra tre
soggetti: ente pubblico, imprese e società civile (o Terzo settore).
Una risposta efficace ai vincoli di bilancio. Non è una questione di
principio, ma una necessità. È un approccio anti-ideologico,
un’idea nuova di economia e di società. Anche la Gran Bretagna,
con la Big Society, sta guardando a questa soluzione. Che appartiene
già alla realtà e alla tradizione italiana. Si tratta solo di
riscoprirla e valorizzarla. La Scuola nasce per questo.
A chi
si rivolge la Scuola di economia civile?
A manager e
imprenditori che desiderano cambiare il modo di fare impresa o ai
giovani stanchi di studiare una teoria economica che fa acqua da
tutte le parti. E poi agli amministratori locali interessati a
trovare nuove strade per coniugare la carenza di risorse con la
necessità di offrire servizi di qualità a tutta la popolazione.
L’attività partirà dall’autunno, al progetto hanno già aderito
una quarantina di accademici in tutta Italia. L’ambizione è aprire
una nuova stagione del pensiero economico.
Di
Massimo Calvi (Avvenire 17/05/2013)
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