sabato 21 giugno 2014

Lavoro sociale e servizio sociale ( parte quarta)

Le due filiere

Distinguiamo ora la prassi di lavoro sociale in due grandi filiere. La filiera che porta l’operatore a lavorare dentro schemi organizzati e quella che lo fa lavorare in modi liberi/aperti.L’insieme di tutti gli schemi organizzati di aiuto sociale e di tutti gli automatismi virtuosi costituiscono ciò che chiamiamo il sistema di welfare. Quando unasocietà arriva a definire con leggi e con provvedimenti amministrativi quali sono i problemi che debbono essere affrontati e quali sono, quindi, i diritti dei soggetti sociali a godere dell’assistenza organizzata, quando cioè la politica sociale ha fatto il suo dovere predisponendo un efficiente meccanismo strutturale, molto deve essere ancora fatto affinché il benessere si produca davvero, in pratica. Il sistema di welfare è una macchina che funziona quando si interconnette con i singoli problemi della società da cui è emerso. Questa interconnessione va vista in realtà come una moltitudine di connessioni e di agganci tra le svariate articolazioni del sistema di welfare e la miriade di singoli problemi specifici. Ogni volta che una delle differenti prestazioni previste dal sistema si attiva a proposito, il sistema funziona. Ognuno di questi agganci va oliato e curato ad personam, per così dire. 

È importante che una società modernizzata possieda un «sistema astratto» di welfare razionale e all’altezza delle aspettative. Che i «meccanismi delle cure» siano ben predisposti è essenziale, ma non è sufficiente. Il sistema è cieco e meccanico e da solo non può funzionare. Per far sì che le procedure impersonali si connettano in modo appropriato e sensato alle molteplici realtà umane cui sono destinate, c’è bisogno ogni volta di una mediazione intelligente: una mente umana specializzata a raccordare l’universale delle leggi (del «già codificato per tutti») con le esigenze particolari e uniche del singolo individuo o della singola famiglia o della singola comunità cui quel «welfare» è in potenza destinato. C’è dunque bisogno di un operatore specialista dei meccanismi tecnicoamministrativi che consentono ai diritti sociali concepiti in senso universalistico di trasformarsi in welfare esperito davvero, reale. Sappiamo per esperienza che questo passaggio è accidentato: tra le buone intenzioni astratte (o tra i soldi stanziati dalle leggi) e il benessere effettivo di questo o quel beneficiario, c’è di mezzo il mare. Potremmo definire «servizio sociale» questa delicata mediazione professionale.

È servizio sociale il ruolo di un esperto conoscitore dei meccanismi, anche burocratici, dei sistemi di welfare, i quali «servono» il cittadino con servizi codificati. Il servizio sociale è la difficile e nobile arte di far arrivare ai cittadini i servizi (le prestazioni, le risorse, ecc.) che la società intera decide di mettere in campo tramite le decisioni politiche. Dunque l’assistente sociale esperto di servizio sociale è a servizio della società perché essa possa far arrivare i propri servizi standard (universalistici) a tutta la popolazione che ne ha bisogno/diritto, in accordo al principio di equità (cioè senza far torti palesi, quando le risorse sono scarse). L’esperto di servizio sociale è un tecnico specializzato del welfare istituzionale, specializzato nella erogazione/dispensazione di risorse pubbliche collettive. Tra queste funzioni specializzate, un posto importante spetta al cosidetto «controllo », cioè alla responsabilità di intervenire per proteggere qualcuno da rischi gravi, o da danni che sta subendo, come nel caso di gravi maltrattamenti o abusipsicologici o fisici di minori o di anziani. In questo caso, una società non accetta che certi episodi possano avvenire e definisce regole, standard e modalità per un intervento coatto delle istituzioni, così da impedire azioni considerate appunto orrori inaccettabili. Di nuovo, questi standard/norme/ regole definiti in senso universalistico debbono essere fatti valere in pratica nelle mille contingenze imprevedibili in cui essi vanno sensatamente applicati. 

Il professionista sociale, però, ha anche altri campi aperti oltre a essere un tecnico assistenziale. Può anche fare dell’altro. Esiste un modo di «aiutare la società ad aiutare» che è affatto differente, e riguarda quella modalità che sopra ho definito aperta e libera. Questa è l’altra «gamba» del lavoro sociale, e consiste nella funzione di intercettare l’azione delle persone e delle formazioni sociali che stanno affrontando i loro problemi direttamente, senza attendersi servizi di altri. Qui parliamo ancora della società che si preoccupa del proprio benessere, ma facciamo riferimento non già al sistema o a modi organizzati e generalizzati di risolvere, bensì a percorsi aperti emergenti dall’agire riflessivo (agency) dei soggetti coinvolti. Immaginiamo per intenderci una piccola porzione di società viva, l’insieme di quelle persone che sentono e vivono un determinato problema e cercano in qualche modo di superarlo con le loro stesse mani. Chiunque abbia un problema cerca di risolverlo, ed è il suo «tentativo di risolvere» che ci fa capire che c’è il problema (Folgheraiter, 2007). La strada migliore per chi sente un problema è quella di interconnettersi con le proprie relazioni sociali, cioè di rivolgersi a persone che lui/lei conosce, per capire se può avere aiuto per agire assieme. Così facendo si crea una microsocietà di interessati a risolvere, una entità che io chiamo «rete di fronteggiamento» (Folgheraiter, 1998; 2000; 2007). 

A volte succede che questa piccola società, arrabattandosi a fronteggiare il problema così come lei stessa l’ha definito, ce la fa da sola, arrivando a gestire autonomamente il proprio disagio. In questo caso, nulla si vede all’esterno e nessun problema arriva all’attenzione del sistema dei servizi: la società funziona, fa il proprio «lavoro sociale» senza bisogno di essere aiutata. Se invece le cose non vanno così bene, se la rete fatica a raggiungere il benessere cui aspira, che cosa può succedere? Ci sono due possibilità. Può succedere che qualcuna di queste persone si rivolga al «sistema» e bussi alla porta di qualche servizio sociale per avere dei servizi, a volte pretendendo non solo una prestazione, ma la completa soluzione del proprio problema.

Ma può succedere anche che quella società che si arrabatta incontri un professionista «libero», un esperto che è appunto sciolto dal vincolo di una determinata erogazione, un operatore che non è (solo) un ingranaggio del sistema, ma una mente intelligente capace di ragionare in modo sciolto


Fabio Folgheraiter - Università Cattolica del S. Cuore,Milano

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