Le
due filiere
Distinguiamo
ora la prassi di lavoro sociale in due grandi filiere. La filiera che
porta l’operatore a lavorare dentro schemi organizzati e quella che
lo fa lavorare in modi liberi/aperti.L’insieme di tutti gli schemi
organizzati di aiuto sociale e di tutti gli automatismi virtuosi
costituiscono ciò che chiamiamo il sistema di welfare. Quando
unasocietà arriva a definire con leggi e con provvedimenti
amministrativi quali sono i problemi che debbono essere affrontati e
quali sono, quindi, i diritti dei soggetti sociali a godere
dell’assistenza organizzata, quando cioè la politica sociale ha
fatto il suo dovere predisponendo un efficiente meccanismo
strutturale, molto deve essere ancora fatto affinché il benessere si
produca davvero, in pratica. Il sistema di welfare è una macchina
che funziona quando si interconnette con i singoli problemi della
società da cui è emerso. Questa interconnessione va vista
in realtà come una moltitudine di connessioni e di agganci tra le
svariate articolazioni del sistema di welfare e la miriade di singoli
problemi specifici. Ogni volta che una delle differenti prestazioni
previste dal sistema si attiva a proposito, il sistema funziona.
Ognuno di questi agganci va oliato e curato ad personam, per così
dire.
È
importante che una società modernizzata possieda un «sistema
astratto» di welfare razionale e all’altezza delle aspettative.
Che i «meccanismi delle cure» siano ben predisposti è essenziale,
ma non è sufficiente. Il sistema
è cieco e meccanico e da solo non può funzionare. Per far sì che
le procedure impersonali si connettano in modo
appropriato e sensato alle molteplici realtà umane cui sono
destinate, c’è bisogno ogni volta di una mediazione intelligente:
una mente umana specializzata a raccordare l’universale delle leggi
(del «già codificato per tutti») con le esigenze particolari e
uniche del singolo individuo o della singola famiglia o della singola
comunità cui quel «welfare» è in potenza destinato. C’è dunque
bisogno di un operatore specialista dei meccanismi
tecnicoamministrativi che consentono ai diritti sociali concepiti in
senso universalistico di trasformarsi in welfare esperito davvero,
reale. Sappiamo per esperienza che questo passaggio è accidentato:
tra le buone intenzioni astratte (o tra i soldi stanziati dalle
leggi) e il benessere effettivo di questo o quel beneficiario, c’è
di mezzo il mare. Potremmo definire «servizio sociale» questa
delicata mediazione professionale.
È
servizio sociale il ruolo di un esperto conoscitore dei meccanismi,
anche burocratici, dei sistemi di welfare, i quali «servono» il
cittadino con servizi codificati. Il servizio sociale è la difficile
e nobile arte di far arrivare ai cittadini i servizi (le prestazioni,
le risorse, ecc.) che la società intera decide di mettere in campo
tramite le decisioni politiche. Dunque l’assistente sociale esperto
di servizio sociale è a servizio della società perché essa possa
far arrivare i propri servizi standard (universalistici) a tutta la
popolazione che ne ha bisogno/diritto, in accordo al principio di
equità (cioè senza far torti palesi, quando le risorse sono
scarse). L’esperto di servizio sociale è un tecnico specializzato
del welfare istituzionale, specializzato nella
erogazione/dispensazione di risorse pubbliche collettive. Tra queste
funzioni specializzate, un posto importante spetta al cosidetto
«controllo »,
cioè alla responsabilità di intervenire per proteggere qualcuno da
rischi gravi, o da danni che sta subendo, come nel caso di gravi
maltrattamenti o abusipsicologici o fisici di minori o di anziani. In
questo caso, una società non accetta che certi episodi possano
avvenire e definisce regole, standard e modalità per un intervento
coatto delle istituzioni, così da impedire azioni considerate
appunto orrori inaccettabili. Di nuovo, questi standard/norme/ regole
definiti in senso universalistico debbono essere fatti valere in
pratica nelle mille contingenze imprevedibili
in cui essi vanno sensatamente applicati.
Il professionista sociale,
però, ha anche altri campi aperti oltre a essere un tecnico
assistenziale. Può anche fare dell’altro. Esiste un modo di
«aiutare la società ad aiutare» che è affatto differente, e
riguarda quella modalità che sopra ho definito aperta e libera.
Questa è l’altra «gamba» del lavoro sociale, e consiste nella
funzione di intercettare l’azione delle persone e delle formazioni
sociali che
stanno affrontando i loro problemi direttamente, senza attendersi
servizi di altri. Qui parliamo ancora della società che si preoccupa
del proprio benessere, ma facciamo riferimento non già al sistema o
a modi organizzati e generalizzati di risolvere, bensì a percorsi
aperti emergenti dall’agire riflessivo (agency) dei soggetti
coinvolti. Immaginiamo per intenderci una piccola porzione di società
viva, l’insieme di quelle persone che sentono e vivono un
determinato problema e cercano in qualche modo di superarlo con le
loro stesse mani. Chiunque abbia un problema cerca di risolverlo, ed
è il suo «tentativo di risolvere» che ci fa capire che c’è il
problema (Folgheraiter, 2007). La strada migliore per chi sente un
problema è quella di interconnettersi con le proprie relazioni
sociali, cioè di rivolgersi a persone che lui/lei conosce, per
capire se può avere aiuto per agire assieme. Così facendo si crea
una microsocietà di interessati a risolvere, una entità che io
chiamo «rete di fronteggiamento»
(Folgheraiter, 1998; 2000; 2007).
A volte succede che questa piccola
società, arrabattandosi a fronteggiare il problema così come lei
stessa l’ha definito, ce la fa da sola, arrivando a gestire
autonomamente il
proprio disagio. In questo caso, nulla si vede all’esterno e nessun
problema arriva all’attenzione del sistema dei servizi: la società
funziona, fa il proprio «lavoro sociale» senza bisogno di essere
aiutata. Se invece le cose non vanno così bene, se la rete fatica a
raggiungere il benessere cui aspira, che cosa può succedere? Ci sono
due possibilità. Può succedere che qualcuna di queste persone si
rivolga al «sistema» e bussi alla porta di qualche servizio sociale
per avere dei servizi, a volte pretendendo non solo una prestazione,
ma la completa soluzione del proprio problema.
Ma può succedere
anche che quella società che si arrabatta incontri un professionista «libero»,
un esperto che è appunto sciolto dal vincolo di una determinata
erogazione, un operatore che non è (solo) un ingranaggio del
sistema, ma una mente intelligente capace di ragionare in modo
sciolto
Fabio
Folgheraiter - Università Cattolica del S. Cuore,Milano
Nessun commento:
Posta un commento