venerdì 27 giugno 2014

Lavoro sociale e servizio sociale ( parte sesta)


È di tutta evidenza che le altre due funzioni sociali di cui si è detto — l’accompagnamento e l’animazione sociale — sono diventate appannaggio anche di altre figure professionali. Parlo per l’Italia, dove questo processo di differenziazione professionale è avvenuto con maggiore forza. Per cui se diciamo «operatore sociale» in Italia possiamo pensare sì a un assistente sociale (chi ha una laurea di classe 39) ma anche a un educatore professionale, a un operatore di strada, a uno psicologo di comunità, a un volontario con esperienza e ben formato, ecc. Nei Paesi anglosassoni non è così: social work vuol dire ancora per gran parte lavoro dell’assistente sociale, perché questo operatore ha saputo mantenersi sui vari livelli operativi — il lavoro di caso, il lavoro con i gruppi, il lavoro di comunità — in modo più fermo. Recentemente, l’IFSW (la Federazione Internazionale degli Assistenti Sociali) e l’IASSW (l’Associazione Internazionale delle Scuole di Servizio Sociale) hanno preso atto di una tendenza presente in molti paesi europei.

Nella definizione ufficiale di social work approvata a Montreal nel 2000 (Hare, 2004), queste associazioni hanno definito il lavoro sociale un’area pluri-professionale, comprendente almeno due «ordini» professionali: gli assistenti sociali e i pedagogisti sociali (i nostri educatori professionali). Per tutte queste considerazioni, sostengo da anni che sarebbe interesse degli assistenti sociali definirsi esperti di lavoro sociale e non più solo titolari di funzioni esclusive di servizio sociale. Per gli assistenti sociali non è conveniente lasciare l’affascinante campo dell’azione sociale appannaggio (concettualmente parlando) di altre professioni.

Qualora questa scelta «di sistema» fosse difesa e portata all’estremo, gli assistenti sociali resterebbero alla lunga privati dell’ossigeno derivante da un autentico contatto relazionale con la società, rischiando di restare isolati dentro il sistema e quindi di perdere vitalità.Mi pare lampante che, se gli assistenti sociali si rinserrano dentro il sistema istituzionale di welfare e si allontanano dalla società, corrono dei gravi rischi. Passiamo qui alla seconda parte dell’analisi: come i cambiamenti strutturali del sistema di welfare impattano sull’agire professionale degli assistenti sociali.


Fabio Folgheraiter - Università Cattolica del S. Cuore, Milano

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